La protesta in Iran non trova convergenze tra le opposizioni all’interno e la diaspora all’estero – huffingtonpost.it

La protesta in Iran non trova convergenze tra le opposizioni all’interno e la diaspora all’estero – huffingtonpost.it

Secondo alcuni analisti, la vera partita per il futuro del Paese potrebbe giocarsi solo nella transizione dopo la scomparsa dell’anziano leader, Ali Khamenei

Ma contro la Repubblica Islamica dell’Iran, quante opposizioni ci sono? E chi parla a chi, e con  quali obiettivi? La domanda sorge legittima, dopo mesi di proteste in Iran – che in realtà quasi nessuno in Occidente ha visto in presa diretta, ma solo in forma mediata dalla grande macchina dei social media e dai media professionali che rilanciavano notizie e video fatti circolare in rete.

Il 4 febbraio Mir Hosein Mousavi, primo ministro negli anni ’80 e poi leader dell’Onda Verde del 2009,  e agli arresti domiciliari dal 2011, ha lanciato una dichiarazione pubblica che ha subito trovato significativi consensi: secondo l’anziano politico, non vi sono più possibilità di una riforma interna della Repubblica Islamica ma serve un “cambiamento fondamentale” per rispondere alle istanze del movimento Donna Vita Libertà, cambiamento che dovrebbe passare per due referendum e un’assemblea costituente liberamente eletta. A suo avviso bisogna cambiare l’ordine esistente passando prima da un referendum sulla necessità di una nuova Costituzione, e poi tramite un nuovo patto redatto da rappresentanti eletti del popolo di tutte le etnie ed estrazioni politiche e ideologiche, e approvato dalla nazione in un secondo libero referendum.

La sua dichiarazione ha trovato l’appoggio di un gruppo di noti prigionieri politici (fra cui Faezeh Hashemi, figlia dell’ex presidente Rafsanjani) e di almeno 350 tra giornalisti, attivisti e rappresentati della società civile prevalentemente basati in Iran. Inoltre, venti sindacati iraniani attivi nell’organizzare proteste negli ultimi hanno chiesto una rivoluzione sociale contro l’oppressione, la discriminazione, lo sfruttamento e la dittatura. E hanno approvato dodici richieste “minime”, tra cui libertà di parola, pensiero e stampa, libertà di organizzazione politica e rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici. Inoltre, pari diritti di donne e uomini, sicurezza sul lavoro, la fine della distruzione dell’ambiente, la normalizzazione delle relazioni estere, il divieto del lavoro minorile, la confisca dei beni di enti pubblici o privati che si siano appropriati di ricchezze del popolo.

“A differenza di alcune chiamate dall’esterno non chiedono nulla da Paesi stranieri come maggiori sanzioni o l’isolamento per il popolo iraniano” osserva sul suo sito il National Iranian American Council, un think tank statunitense che in passato ha sempre sostenuto l’opportunità di tenere aperti i canali diplomatici con Teheran e quella di ripristinare l’accordo sul suo programma nucleare del 2015, che ne impediva un’eventuale sviluppo in campo militare (l’uscita degli Usa da tale accordo nel  2018 ha innescato la corsa iraniana verso l’arricchimento dell’uranio fino al 60%, contro il 3,67% concordato nell’intesa e molto vicino al  90% necessario per un ordigno). Inoltre, il Niac si è opposto alle pesanti sanzioni economiche imposte negli ultimi quattro anni dagli Usa, in quanto ad esserne vittima sono non le elite al potere ma i comuni cittadini. Nonostante anche il Niac si sia schierato con le proteste di questi mesi in Iran, l’organizzazione è stata oggetto di una potente campagna denigratoria da una parte della diaspora negli Usa, che a sua volta ha una vasta influenza in Europa e in Canada. Campagna che offre la misura di quanto divisa sia l’opposizione iraniana all’estero e invelenito il confronto tra le diverse parti.

Il nodo dell’inserimento dell’Irgc nella lista nera Ue. Esmaeilion, aiuterebbe la rivoluzione

Nel frattempo alcune figure mediaticamente più in vista stanno  tentando una difficile unificazione di tale diaspora, e nel contempo premono sui governi europei perché sposino le loro richieste: in primo luogo l’inserimento del Corpo delle Guardie della Rivoluzione (Irgc o Pasdaran) nella lista delle organizzazioni terroristiche di Bruxelles, e l’espulsione degli ambasciatori di Teheran.

Per ora, l’Europa non ha prestato orecchio a nessuna delle due richieste, limitandosi ad un quinto round di sanzioni mirate contro singoli individui ed enti iraniani per il ruolo giocato nella dura repressione delle ultime proteste, che ha portato a un totale di 196 individui e 33 enti sanzionati. Per ora non vi sono le condizioni legali per la designazione dei Pasdaran a organizzazione terroristica, ha spiegato la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock per conto del Consiglio a Bruxelles. Il governo tedesco, da parte sua, ha appena espulso parte del personale diplomatico iraniano a Berlino per la recente condanna a morte per terrorismo di un cittadino irano-tedesco, Jamshid Sharmand, a Teheran.

Inutile dunque, ai fini della misura contro i Pasdaran, anche la manifestazione della diaspora raccoltasi proprio a questo scopo lunedì scorso a Bruxelles. In prima linea Masih Alinejad, giornalista e attivista con base a New York, e l’irano-canadese Hamed Esmaeilion, padre e marito di due delle 176 vittime dell’abbattimento dell’aereo civile ucraino, il PS752, colpito per colpevole errore dai missili della contraerea dei Pasdaran l’8 gennaio 2020 nei cieli di Teheran. Masih Alinejad aveva appena partecipato con Reza Pahlavi, principe erede della monarchia rovesciata dalla rivoluzione del 1979, alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, dove per la prima volta non è stato invitato alcun rappresentante del governo di Teheran, nonostante sia un attore centrale degli equilibri regionali.

Ma che significato e soprattutto quali tangibili effetti potrebbe avere la designazione dei Pasdaran nella lista nera europea, dato che questi sono già in quella degli Stati Uniti dal 2019 senza che vi sia stato alcuna apparente contenimento delle attività delle quali sono accusati, in patria e attraverso le milizie filo-iraniane tra Libano, Siria, Iraq, Yemen e Gaza? E se effetti pratici non ve ne fossero, non si rischierebbe con la loro messa al bando la definitiva chiusura di ogni canale diplomatico con Teheran? E non servirebbero, tali canali diplomatici, da una parte al contenimento del programma nucleare di Teheran, dall’altra ad evitare un ulteriore rafforzamento della sua alleanza militare con Mosca, nel pieno del conflitto in Ucraina?

Queste le domande poste a Esmaeilion e Alinejad, ospiti di un incontro svoltosi ieri in Senato su iniziativa della senatrice Antonella Zedda (FdI), della Fondazione Luigi Einaudi e di PaykanArtCar: organizzazione per l’arte e i diritti umani che prende il nome da una storica limousine degli anni Settanta e che è presieduta dall’ambasciatore Mark D.Wallace, già collaboratore del governo di George W.Bush e ora amministratore delegato di United Against Nuclear Iran, del cui advisory board fa parte anche l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi. “L’Irgc è lo strumento dell’oppressione dell’Iran – ha risposto Esmaeilion – uccide, tortura, l’economia è nelle sue mani. Se viene messo nella lista Ue delle organizzazioni terroristiche – ha aggiunto lo scrittore – verrebbe indebolito, e questo sarebbe molto utile per il successo della rivoluzione”. Rispondendo sul rischio che la chiusura di ogni canale diplomatico avvicini i conflitti armati, “non credo che l’alternativa alla diplomazia sia la guerra – ha detto Esmaeilion – . Abbiamo chiesto messaggi politici forti, come espellere gli ambasciatori (cosa diversa dal chiudere le ambasciate), ma non ne abbiamo ancora visti”. “Durante le proteste del novembre 2019 – ha proseguito – sono state uccise decine di minori, nell’aereo abbattuto i bambini erano 29 e tra le vittime degli ultimi mesi di proteste circa 70. “Eppure i canali diplomatici erano aperti, qual è stato dunque  il risultato della diplomazia?” Rispondendo poi a chi osservava che anni di pesanti sanzioni economiche contro l’Iran hanno soltanto impoverito gli iraniani in patria, “nessuno ha chiesto di fare pressione sugli iraniani – ha precisato Esmaeilion – ma sanzioni mirate su individui coinvolti in crimini contro l’umanità. Perché, mentre uccidono iraniani innocenti, i loro figli e familiari possono vivere nel lusso in Europa e negli altri Paesi occidentali?”.

Mash Alinejad,  benvenuto a ex leader Onda Verde ma se accetta Costituzione secolare

A  margine una domanda anche sulle recente dichiarazione pubblica di Mousavi. “La abbiamo attesa da molti anni – ha risposto Alinejad – anche se molti pensano che (l’ex primo ministro, ndr)  dovrà rispondere delle sue azioni precedenti in tribunale. Comunque è un passo positivo, che chi ha sostenuto la Repubblica Islamica diserti e voglia avere una nuova Costituzione. Ma deve anche annunciare che serve una democrazia secolare,  ciò che vuole la giovane generazione. La cosa più importante è rovesciare il regime, avere una costituzione e una democrazia”.

Masih Alinejad, Hamed Esmaeilion e Reza Pahlavi  sono tre degli otto esponenti dell’opposizione all’estero che hanno avuto un recente incontro alla Georgetown University di Washington con lo scopo di creare una piattaforma comune, intorno alla quale unificare una diaspora divisa – un altro soggetto è il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana presieduto da Marjam Rajavi, erede dei Mojaheddin del Popolo e che agisce in autonomia dalle altre forze, che nella maggior parte dei casi ne prendono le distanze. Il testo della piattaforma sarà pronto a breve, ha assicurato Alinejad, oggi ancora a Roma con Esmaeilion per un’altra manifestazione a San Giovanni.

Nel frattempo la Repubblica Islamica ha celebrato il suo 44/o anniversario, a proteste parzialmente sopite, dispensando una controversa amnistia che riguarda anche parte dei manifestanti. Secondo alcuni analisti, la vera partita per il suo futuro potrebbe giocarsi solo nella transizione dopo la scomparsa dell’anziano leader, Ali Khamenei.

Luciana Borsatti, huffingtonpost.it

Share