La lezione americana

La lezione americana

Michael Walzer, il politologo di Princeton, americano democratico, l’ha precisato bene: “È stata una sommossa ma non un golpe”. Claudio Magris, letterato sommo, intellettuale italiano, è rimasto impressionato dal fatto che Joe Biden, “dinanzi all’inaudita sovversione dell’attacco al Congresso” dica semplicemente: “Il popolo reagisca”. Ed ha richiamato le celebri parole di Winston Churchill dopo Monaco “quando le democrazie occidentali capitolarono davanti ad Adolf Hitler che si mangiava la Cecoslovacchia”. Le opinioni così diverse di due illustri personalità aiutano a spiegare lo smarrimento di fronte agli ultimi fatti di Washington. L’assalto al Campidoglio, sede fisica del Congresso degli Stati Uniti (Camera dei rappresentanti e Senato), è inqualificabile dal punto di vista politico ma non indefinibile dal punto di vista politologico. Non sembra una “sommossa”, con tutto il rispetto per Walzer. Men che meno, poi, sembra la Monaco del 1938. Hitler e Churchill non c’entrano proprio. Più di un’esagerazione, un’autentica cantonata, con tutto il rispetto per Magris. Il fatto è che, trattandosi degli Usa, tutto viene distorto e amplificato, in ogni senso, e le tinte diventano sempre o fosche o luminose, anche perché i tinteggiatori intingono i pennelli nell’amore o nell’odio verso gli americani, la loro storia, il loro sistema di governo, ma soprattutto nella politica osservata con gli occhi bensì occidentali ma europei, i quali non discernono mai bene la destra e la sinistra come la vedono gli americani.

Altri hanno tirato in ballo il colpo di Stato, tentato o addirittura realizzato, per quanto folkloristico. Assertivo Beppe Severgnini: “A Washington Dc è andata in onda la realtà: abbiamo assistito a un tentativo di colpo di Stato. Goffo e improbabile, forse. Ma resta un assalto alle istituzioni democratiche. Chi minimizza, diventa complice”. Costoro dimenticano che, quando prospettò l’uso dell’esercito per fronteggiare i disordini interni, fu proprio il capo delle forze armate a eccepire (!) al comandante in capo, cioè al presidente degli Stati Uniti, che i militari americani sono al servizio della nazione per proteggerla dai nemici, non un servizio di polizia interna. E tutti sanno che i colpi di Stato senza l’appoggio di corpi armati sono ipotizzabili piuttosto che realizzabili.

Appena sgombrato il Campidoglio, le Camere hanno preso a funzionare immediatamente, adempiendo ai loro doveri costituzionali e proclamando l’elezione di Biden, che è stato impeccabile sul filo del rasoio del presidente eletto contro il presidente in carica (ancora). Davanti alla reazione del sistema politico bisogna cavarsi il cappello. La democrazia americana è stata forgiata dalla Costituzione, dalle guerre, dalle lotte. Gli europei sembrano coltivarne una concezione idilliaca, a giudicare dai commenti ai fatti di Washington, che invece insegnano molto. La democrazia può consegnare il potere a chi la disprezza, questa la verità da sottolineare. Perciò il potere deve essere anziché concentrato, alla Vladimir Putin o alla Xi Jinping, diviso e limitato anche nel tempo, come stabilirono i lungimiranti Padri della Costituzione americana, che, forse non è inopportuno ricordarlo, è formata da tre documenti: la Dichiarazione d’indipendenza, la Costituzione vera e propria, i XXVI Emendamenti. Detto tutto il male di Trump e contati i suoi milioni di voti, resta che il sistema non gli ha permesso di diventare un Hitler o un Benito Mussolini, e neppure un Nicolás Maduro qualunque. I fatti di Washington, considerati nelle premesse e nelle conseguenze, impartiscono una lezione a chi sa apprezzarla.

L’Opinione delle Libertà

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