La legge elettorale per il Parlamento amputato

La legge elettorale per il Parlamento amputato

La frittata è fatta. Ora è indispensabile evitare che bruci. Il Parlamento amputato dall’improvvido referendum imposto dal M5S, e approvato da partiti autolesionistici in fregola di antipolitica, rischierebbe di diventare pure oligarchico e autocratico, se, come pare, venisse eletto con metodo proporzionale, soglia di sbarramento, liste bloccate! Una legge elettorale che combinasse il riparto proporzionale dei seggi, ridotti a quattrocento deputati e duecento senatori elettivi, con una soglia di sbarramento ipotizzata al cinque per cento e con le liste bloccate dei candidati, costituirebbe una miscela esplosiva. Vogliamo credere che neppure i più convinti sostenitori del Sì possano approvare che il Parlamento amputato venga affittato a quattro/cinque locatari che decidano insindacabilmente chi alloggiare. L’amputazione ha già prodotto e produce di per sé un effetto di schiacciamento delle minoranze elettorali, cioè delle correnti di pensiero e dei gruppi politici, restringendo pericolosamente la rappresentanza democratica. Se vi si aggiunge una soglia di sbarramento della percentuale prospettata, lo schiacciamento viene amplificato ed aggravato, esasperando il tasso oligarchico delle elezioni generali. Diminuiranno gli eleggibili a petto degli elettori. Il valore del rapporto elettori/eletti calerà. Un maggior numero di elettori sentirà l’amaro sapore dell’esclusione. Il distacco dell’elettore diventerà ineluttabilmente frustrazione politica allorché constaterà che le liste bloccate, seppure gli consentano di scegliere un partito, tuttavia non lo lasciano libero di scegliere un eletto in carne ed ossa, nel che alla fin fine consiste la rappresentanza parlamentare rettamente intesa. Se l’elettore sceglie il partito, sarà il partito a scegliergli l’eletto, mettendo in ordine di preferenza, a criterio proprio e in rapporto ai voti, gli eligendi. In tal modo il connotato oligarchico dell’elezione, già inaccettabile, sarà viepiù rafforzato dal carattere autocratico delle candidature, non meno inaccettabile.

Tutto questo vero e proprio obbrobrio della democrazia parlamentare, al momento un reale pericolo che incombe sulla politica, non un semplice timore ipotetico, può essere scongiurato se le forze politiche maturino resipiscenza dell’errore e si ravvedano; se no, vengano indotte, con la discussione e il ragionamento, ad abbandonare il progettato sistema elettorale e ad abbracciare l’alternativa che può scongiurarne gli effetti deleteri implicati e connessi. L’alternativa esiste ed è inoppugnabile, avallata dal principe dei politologi, il compianto Giovanni Sartori. Si tratta del sistema maggioritario di collegio, nel quale, se nessun candidato consegue la maggioranza assoluta dei voti, è previsto il ballottaggio non tra i primi due candidati più votati, ma tra i primi tre. La “variante Sartori” dell’elezione con collegi uninominali ha numerosi vantaggi evidenti. Il primo, l’elettore conosce fisicamente i candidati, può valutarli in quanto tali e in relazione al partito di candidatura. Il secondo, nel ballottaggio non si troverà davanti all’alternativa secca tra due candidati, ma potrà scegliere tra i tre candidati di ciascuno dei partiti più votati. Il terzo, la rappresentatività e la governabilità del sistema politico saranno esaltati e rafforzati dal fatto che l’elettore sentirà molto meno lontana la maggioranza parlamentare venutasi a creare. Se non è l’ideale puro della democrazia rappresentativa, gli somiglia abbastanza. Diversamente, il Parlamento amputato si pervertirà pure in uno sgorbio politico e costituzionale. Non avremo più una democrazia rappresentativa in senso proprio e in senso pieno, che si ha soltanto quando la legge elettorale, che è consustanziale al sistema del “governo rappresentativo”, assicura al meglio la genuina rappresentanza degli elettori, il governo stabile e coeso (l’efficienza dipendendo anche da altri fattori), la vera effettiva libertà di scelta. L’opinione pubblica deve essere mobilitata e i media dovrebbero perciò farsi campioni del collegio uninominale a doppio turno, nella variante perorata da Giovanni Sartori: l’ideale, quasi, della democrazia rappresentativa realizzabile.

Oltre i suddetti caratteri di un sistema elettorale auspicabile non si può non rimarcare la perdurante mancanza delle garanzie di candidabilità, un difetto non meno cruciale. La candidabilità è diversa dall’eleggibilità ed attiene alla concreta possibilità di partecipare alla competizione elettorale. Com’è noto i partiti che siedono in Parlamento godono di un privilegio, spacciato per semplificazione, consistente nell’essere esentati dal raccogliere e documentare le firme per presentare le candidature. Si tratta di un vantaggio che fa molto, molto comodo, ai partiti esistenti ben assisi sugli stalli della Camera e del Senato: un vantaggio, sleale e antidemocratico, che accentua il connotato oligarchico dell’elezione, perché il partito (dunque i suoi candidati) che è “dentro” il Parlamento partecipa di diritto alle elezioni mentre chi ne sta “fuori” e vuole entrarvi, no. Un vantaggio, infine, che, danneggia gli elettori perché sottrae loro l’opzione di voto a favore dei partiti o dei candidati che non hanno la forza materiale di organizzare la dispendiosa raccolta delle firme prescritte dalla legge, in genere dell’ordine delle decine di migliaia. Orbene il Parlamento amputato comporterà collegi elettorali ampi circa il doppio degli attuali e, se prevarrà la legge proporzionale in discussione, l’esenzione a favore dei partiti rappresentati e le difficoltà frapposte ai non rappresentati saranno mantenute, sempre a danno della lealtà della competizione. Invece, se si adottasse la “variante Sartori”, diverrebbe semplice, oltreché corretta e democratica, la presentazione di candidati che raccolgano personalmente, per esempio, cinquecento firme. Rimanendo il vantaggio di fatto, prerogativa naturale ma ineliminabile dei partiti già strutturati, almeno quell’ingiusto privilegio sarebbe cancellato in favore dei partiti allo stato nascente, che così sarebbero posti con gli altri su un piede di quasi parità al nastro di partenza. Utopia? Illusione? Lusinga? Da lustri, ormai, l’Italia liberale si consola con Guglielmo il Taciturno: “Non è necessario sperare per intraprendere né riuscire per perseverare”.

(*) Tratto da Intervento nella Società, n.4/2020, pagina 28

L’Opinione delle Libertà

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