La Costituzione è stata promulgata 75 anni fa, è ora di riformarla

La Costituzione è stata promulgata 75 anni fa, è ora di riformarla

Il 27 dicembre di settantacinque anni fa, nel 1947, a Roma, a Palazzo Giustiniani, ai sensi della XVIII Disposizione transitoria della Costituzione, apponendo in calce la propria firma, Enrico de Nicola, capo provvisorio dello Stato, promulgò la Costituzione italiana, appena approvata qualche giorno prima – il 22 dicembre – dall’Assemblea Costituente. Unico documento controfirmato non solo dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (a sgravio della responsabilità del capo provvisorio dello Stato), ma anche dal presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini (a riprova della conformità di quel testo rispetto a quello approvato dall’Assemblea), la firma di Enrico de Nicola è il segno grafico più importante nella storia della Repubblica, non soltanto dal punto di vista simbolico.

Con esso infatti De Nicola attestava agli italiani, in modo ufficiale, l’esistenza del testo della Costituzione; ne dava una sua eccezionale, perché doppia, pubblica contezza – «affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione» – tanto tramite la pubblicazione nello stesso giorno in Gazzetta Ufficiale, quanto tramite l’affissione del testo «nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per rimanervi esposto durante tutto l’anno 1948», come previsto dal c. 2 della XVIII Disp. trans.

Infine, anche per evitare di utilizzare, ex art. 5 del d.l.lgt. n. 98 del 16 marzo 1946, il potere monarchico della sanzione regia – che sarebbe stato un vero e proprio controsenso applicare alla Costituzione repubblicana! -, marcava la discontinuità, sottolineando il termine di entrata in vigore, ossia il «1° gennaio 1948». Oggi allora che quel diritto costituzionale transitorio non soltanto si è fatto passato ma addirittura storia, in quella firma dobbiamo ritrovare un monito chiaro: quello di non perdere l’opportunità di ammodernare la nostra democrazia, dando alla Parte II della Costituzione una meccanica più adeguata ai tempi che stiamo vivendo. Senza travolgerne evidentemente né la sua anima né il suo spirito.

Se ha un senso infatti quel “ritorno alla politica” che con decisione alcuni partiti hanno inteso dare, facendo brutalmente terminare in anticipo il governo Draghi, questo si deve manifestare innanzitutto per affrontare con consapevolezza, dialogo e fiducia reciproca, tanto le note inadeguatezze della Parte II della Costituzione (dal bicameralismo, al rapporto tra lo Stato e le Autonomie, ad un governo debole ed instabile anche rispetto agli altri governi europei, solo per citarne tre) quanto per fronteggiare la questione rappresentativa, la cui naturale
trasformazione non è stata adeguatamente accompagnata proprio da quelle istituzioni di cui era espressione;  istituzioni che invece sono state lasciate progressivamente in balìa di un populismo che ha trovato non poca linfa proprio in quelle disfunzioni, che eppure sono ampiamente note e da decenni invero denunciate. Consapevole allora sia dei fallimenti in tema, sia che non basta dire “no” per migliorare il quadro, la politica stavolta non perda l’opportunità: che siamo ancora in tempo infatti per “riscoprire” le istituzioni come bastioni di stabilità. E per dare a quella firma, a settantacinque anni dalla sua apposizione, un rinnovato valore.

 

Il Sole 24 Ore

 

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