Inutile disperarsi, per l’intelligenza artificiale servono investimenti

Inutile disperarsi, per l’intelligenza artificiale servono investimenti

A leggere i giornali, pare che quasi nessuno l’abbia notato. Eppure, delle tante, tantissime cose dette ieri in conferenza stampa dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni c’è n’è una che di sicuro le stava a cuore più delle altre. È il tema dell’intelligenza artificiale. Lo si è capito, per chi voleva capirlo, subito.
Avendo rinviato già due volte, causa malattia, il tradizionale incontro di fine anno con i giornalisti, ed essendo stata accusata da più d’un media di aver paura di rispondere a domande dirette, Giorgia Meloni ha voluto dimostrare l’infondatezza delle critiche subite. Perciò, anziché dir la sua sui temi di più stretta attualità, per poi lasciar spazio alle domande, si è limitata ad una brevissima prolusione e nelle tre ore successive si è adattata a rispondere alle più disparate sollecitazioni dei giornalisti. Logica vuole che quel poco che abbia detto prima della prima domanda fosse quel più le interessava dire e che meno riteneva sarebbe stato oggetto delle curiosità dei cronisti presenti.
Un unico tema la presidente del Consiglio ha, in effetti, affrontato: quello dell’intelligenza artificiale.

Giorgia Meloni ha annunciato che sarà questo l’argomento che l’Italia, in quanto presidente di turno, porrà come centrale al G7 di giugno. Ed ha illustrato, con pathos evidente, non le opportunità, ma i rischi che l’evoluzione della tecnologia digitale pone al mondo reale. “L’intelligenza artificiale – ha detto – avrà un impatto devastante sul mercato del lavoro”. Assisteremo, dunque, ad una sistematica “sostituzione” dell’uomo con la macchina non solo per le attività basiche manuali, ma anche per le attività intellettuali. “L’intelletto rischia di essere sostituito”, è stato il grido d’allarme. Nessun giornale, a parte il Foglio, e nessun sito di informazione, a parte l’Huffington, ha ritenuto di dar conto delle parole di Giorgia Meloni, e tantomeno di approfondirne il senso.
Il motivo è semplice: in materia di trasformazione digitale e di intelligenza artificiale, l’arretratezza culturale e la capacità d’analisi dei media non sono da meno di quelle del governo in carica.

Un po’ alla volta, il decisore politico sta mettendo a fuoco i rischi, soprattutto per i più giovani, di un abuso di tecnologia digitale. È questo è un bene. Ne discendono le nuove norme ispirate dall’Autorità garante delle comunicazioni volte a limitare l’accesso a siti per così dire inappropriati da parte dei minori e ad assicurare un minimo di controllo da parte dei genitori. Ne discende anche il monito lanciato dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, concludendo il convegno organizzato lo scorso luglio dalla Fondazione Luigi Einaudi sull’imprescindibilità della scrittura a mano e della lettura su carta nel sistema scolastico. “Il digitale è utile, ma carta e penna non sono sostituibili”, ha detto il ministro. E non si tratta di un preconcetto: è quel che sostengono le principali ricerche scientifiche pubblicate a livello internazionale.

Ma l’intelligenza artificiale è cosa ancor più complessa. Va regolamentata, certo, ma non si può pensare di farne a meno. Metterne in evidenza i soli rischi, come ha fatto ieri Giorgia Meloni, serve senz’altro a sintonizzarsi sugli umori popolari del momento, ma significherebbe condannare il Paese (dalle imprese private alla Pubblica amministrazione) all’arretratezza e al sottosviluppo. Non basta, dunque, come è stato fatto, dare pieni poteri al sottosegretario Alessio Butti, Capo del Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio. Non basta, come è stato fatto, nominare una commissione di esperti che affianchi e indirizzi il lavoro “politico” a riguardo. Non basta, come è stato fatto, far confluire le risorse del Pnrr nel fondo per l’innovazione del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Non basta, come è stato fatto, nominare un pool di esperti che aiuti il dipartimento Editoria di palazzo Chigi a tutelare il copyright. Occorrono investimento pubblici colossali.

Al netto di una retorica apparentemente antimoderna, il governo Meloni si è posto il problema. È stato così costituito un fondo di venture capital partecipato dal Dipartimento per la trasformazione digitale, da Cassa depositi e prestiti e dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Obiettivo: sostenere la nascita e la crescita di start up che implementino i servizi al pubblico erogati attraverso l’intelligenza artificiale. Il fondo, però, non risponde di miliardi, ma di milioni: 800 in tutto. Troppo pochi.

HuffingtonPost

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