In nome delle viscere

In nome delle viscere

Giorgia Meloni s’è arroventata con uno Stato – il nostro – che paga il reddito di cittadinanza a Pietro Maso. In realtà no, non è vero, lo Stato non paga il reddito di cittadinanza a Maso: lo ha pagato per errore e, quando se nè accorto, ha smesso di pagarglielo. Maso non ne ha diritto poiché quasi trent’anni fa ammazzò i genitori a sprangate per intascarne leredità, è stato condannato, ha passato in galera il tempo giudicato necessario, e poi è stato scarcerato. Oggi, secondo i suoi giudici, è una persona adatta a vivere in mezzo in noi, a cercarsi un lavoro, ad affittare casa, ad andare al mare. Ma il reddito di cittadinanza no. Mi dispiace, non vorrei parlare di Maso. Lui è stato un incubo per noi, ma noi adesso stiamo diventando un incubo per lui. Ogni tanto la sua storia riemerge, col carico dorrore, e ognuno è autorizzato a svuotare su quell’ex ragazzo, ormai cinquantenne, l’intero vocabolario del disgusto. Maso non parla mai, al massimo parla qualche raro amico e dice che sta cercando di ripartire. Fine. I requisiti d’indigenza per richiedere il reddito di cittadinanza li aveva, ma sono il passato e l’irrimediabile presente di assassino a vietarglielo, secondo la norma studiata dai cinque stelle. Maso, per quanto li riguarda, non sarà mai come gli altri, e può anche fare la fame. Capite? Litighino se gli va, ma Meloni e i cinque stelle la pensano allo stesso modo, affiancati da alleati e avversari solidali, e nella migliore delle ipotesi incapaci di cogliere lenormità di uno Stato vendicativo che si dichiara fallimentare: il colpevole non è mai rieducato, come chiede la Costituzione, e quindi lo si tormenta, come chiedono le budella.

 

Pubblicato su La Stampa del 01.08.2020

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