In bianco

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È normale ci siano negoziati politici. È normale non sia facile trovare una soluzione. Tenere assieme una maggioranza di governo all’evidenza emergenziale, di suo sufficiente ad eleggere il Presidente della Repubblica e difficilmente mantenibile ove si procedesse per il Colle escludendone una parte, non è semplice. Sicché le chiacchiere moralistiche, sull’inopportunità delle trattive e degli incontri, stanno a zero. Sono altre le cose che impensieriscono.

Ci è sfuggito qualche cosa o c’è il rischio che sfugga a chi propone di far guidare la Repubblica o il suo governo da chi oggi ha la responsabilità dei servizi di sicurezza? Di certo non è in discussione la qualità delle persone, ma è singolare sfugga lo stridore istituzionale di un simile passaggio. Sono cose che risulterebbero enormi anche in periodo di guerra. E della democrazia resterebbe un tizzone fumante, ove Presidenza e governo fossero assegnati a due mai misuratisi con la politica.

Un Presidente sarà eletto, questo è sicuro. E c’è una convenienza collettiva a farlo in fretta, per non logorare troppo quel che regge il governo. Per carità, si obietterà che può ben cadere ed essere sostituito, il che è ineccepibile dal punto di vista formale, ma da quello sostanziale ci sono impegni presi e scadenze inderogabili, che richiedono competenza e peso internazionali, per cui mettere nel conto un simile passaggio, che non siano le formali dimissioni in mano all’eletto, significherebbe gettare l’Italia in una tempesta durissima.

Allora, con calma, si ragioni sui dati incontrovertibili. Quando è cominciata la presidenza di Sergio Mattarella? Nel 2015, lo sappiamo tutti. Ma questa è una risposta che non risponde: è cominciata nel 2018, quando le elezioni hanno restituito un Parlamento che ha definitivamente chiuso la breve, travagliata e forse mai cominciata storia della così detta seconda Repubblica. L’idea delle due coalizioni, disomogenee all’interno e tenute assieme dalla voglia di prendere più voti dell’altra, è finita nel 2018, quando i voti li prese un terzo, il Movimento 5 Stelle, che prometteva di non allearsi mai con nessuno degli altri. Lascia fare che poi s’è alleato con tutti, questa è stata la necessaria degenerazione. È finita quando nessuna delle due coalizioni aveva i numeri per governare, posto che anche quando li avevano non ci riuscivano. E in quel momento è nata una nuova presidenza Mattarella, quella per cui oggi è acclamato per le strade e nei teatri, quella che ha saputo condurre dal trasformismo tarantolato alla nascita del governo Draghi. E oggi, quale che sia il nome del nuovo Presidente, la prima necessità è salvare la continuità. Come tutti i componenti la maggioranza, a parole, dicono di volere fare.

Al tempo stesso occorrerà una discontinuità politica, perché quel che è stato disegnato per la seconda Repubblica, fortunatamente fuori dal dettato costituzionale, è morto con quella. Anche qui: lo hanno detto tutti che, dopo la riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari, si dovrà cambiare il sistema elettorale. Il tempo stringe e il passaggio richiede un tasso decoroso di concordia.

Infine c’è da considerare che gli impegni presi dal governo in carica, certo non all’insaputa dei suoi componenti, vanno oltre non solo queste ore, ma anche l’intera durata residua della legislatura. Quindi ciascuno dei componenti la maggioranza dovrebbe sentire il dovere e la serietà di dire: continueremo il lavoro anche quando avremo vinto e governeremo da soli. Ove mai siano capaci di vincere qualche cosa.

Tutto questo porta con sé il risolvere ragionevolmente in fretta la partita del Colle. Si può. Il tempo lavora contro, non a favore. La cattiva impressione è che ciascuno sia condizionato non dalle idee (se esistono) degli avversari politici, ma dal bisogno di distinguersi e prevalere degli alleati di (presunta) coalizione. Occhio, perché così si passa dalla morte alla putrefazione.

La Ragione

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