ImPotenza

ImPotenza

Come in tutti i sistemi dispostici e secondo la tradizione degli scontri di potere in Russia, l’opacità regna sovrana. Al punto che, nel torbido, ciascuno può vedere muoversi quel che gli pare: chi l’astuto inganno putiniano per consolidare il potere, chi il liquefarsi dell’intera Russia. Il guaio di concentrare lo sguardo sul torbido è quello di non riuscire a mettere a fuoco i fatti evidenti, che sono due: a. lo smottare del fronte interno è una conseguenza della sconfitta su quello esterno ucraino, talché la grande potenza militare che mosse alla conquista del piccolo Paese da masticare alla svelta è lì, trincerata come può, spinta alla criminalità di far saltare le dighe, pur di non vedere il contrattacco degli ucraini sfondare le proprie linee; b. fin dall’inizio era chiara la rissosa rivalità fra le forze armate russe e i mercenari della Wagner, con le prime che consideravano l’invasione un errore e i secondi un’occasione, ma prima di sabato si vedeva Putin tenere al guinzaglio i suoi cagnacci, ora si vede il dominatore che viene dominato. Che sia sotto tutela delle forze armate o dei mercenari non è chiaro, ma la potenza ha generato impotenza.

La guerra russa in Ucraina è persa fin dall’inizio. Ora porta Putin a finire. Il disegno imperialista e neozarista si è dimostrato per quel che è: un’allucinazione mistico-nazionalista che porta con sé la riduzione della Russia a vassallo della Cina. Chi ha pensato d’essere espressione della storia russa ha dimostrato di non conoscerla o, meglio, di averne assorbito una versione mitica, incapace di imparare dagli errori del passato.

Con tre conseguenze si dovranno fare i conti, nel torbido.

1. I tempi restano incerti e, anzi, quelli della guerra rischiano di allungarsi. È escluso possa farlo Putin, che lo ha sempre rifiutato, ma è ben difficile che altri siano in condizioni e in tempi prevedibili capaci di negoziare una conclusione. Incerti anche i tempi e le modalità della fine di Putin, che sarà un bene per l’umanità e per la Russia.

2. Nello scontro russo non ci sono buoni e cattivi, non ci sono “i nostri” e, con ogni probabilità, quel che succederà dopo la fine sarà orribile quanto quel che c’era. Prigozhin, che riconosce essere tutte balle quelle raccontate sulla minaccia o provocazione della Nato, non per questo diventa un “amico”. Resta un macellaio prezzolato. Ma l’esistenza stessa dello scontro dimostra che le sanzioni (che hanno funzionato eccome) hanno morso gli equilibri economici del potere e dei suoi complici; dimostra che il sostegno politico, civile e di forniture militari all’Ucraina è stato non soltanto giusto ma utile ed efficace. Quindi si continua.

3. La chiave che ha serrato Putin nel suo dannato labirinto è stata quella dell’unità occidentale, che lui aveva escluso. Quello è stato l’atto politico decisivo. Non sufficiente, certo, ma decisivo. E sarebbe spreco di opportunità e di peso se qui da noi non lo si capisse, continuando a biascicare di debolezza europea o di divisioni Nato o dei danni subiti. I danni sono frutto di una scelta criminale, fatta da Putin. Il resto è stata una conquista di maturità politica. Che ora va evoluta, certamente, sul terreno sia dell’integrazione militare che del dialogo diplomatico, ricordando che non è nei nostri interessi la dissoluzione russa, mentre siamo tenuti al confronto costante, anche difficile, con Cina e India.

La torsione guerrafondaia voluta da Putin ha spaccato il suo mondo, anziché il nostro. Non di meno ha generato squilibri pericolosi, i cui effetti devono ancora vedersi. Il convertirsi alla finzione pacifista e alla negoziazione sbracante di quello che fu il vecchio filocomunismo e il suo predecessore filozarista è soltanto l’ultimo travestimento di una natura profonda, che ha in uggia l’Occidente proprio perché orgogliosamente imperfetto nel suo essere libero e democratico. Gli adoratori delle perfezioni dispotiche avranno presto un nuovo cadavere storico su cui versare le loro lacrime.

 

La Ragione

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