Il grande laico che amava la Chiesa

Il grande laico che amava la Chiesa

Storico maestro del diritto ecclesiastico Arturo Carlo Jemolo ha sempre difeso tutti gli spazi di libertà, anche quelli del culto religioso. La sua lezione sui rapporti tra Stato e Santa Sede resta di attualità.

Pur essendo contrario al Concordato è rimasto fedele ai principi della Costituzione. Il suo è il messaggio di una laicità non intollerante ma intelligente

“È stolto pensare ad una tecnica che sostituisca la politica, quasi potesse esserci una tecnica che proceda senza mete da raggiungere, e quasi che le mete non siano in funzione di un ideale di bene, di un assetto considerato come il migliore. Ma è invece sacrosanta verità che la politica, per essere fruttifera, deve avere una tecnica ai suoi servizi, perché non si costruisce guardando soltanto alla meta ultima e ignorando quale sia la strada migliore per raggiungerla”.
Sembrano parole scritte ieri, proprio nel fervore del dibattito sulle modalità da seguire per uscire dalla situazione in cui la pandemia ci ha prostrati, e si sta faticosamente cercando la via per una ripresa economica. Sono parole di Arturo Carlo Jemolo, affidate all’opuscolo Che cos’è la Costituzione, dato alle stampe poco prima che si insediasse l’Assemblea costituente; molte delle opere che gli hanno dato la fama, come Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cent’anni, considerato ancor oggi la più acuta riflessione sui rapporti tra religione e stato, le Lezioni di diritto ecclesiastico, Coscienza laica, sono ancora disponibili. La cultura di Jemolo si è venuta formando negli anni Dieci e Venti del Novecento a contatto con i vivaci ambienti torinesi, che egli aveva frequentato prima come studente di giurisprudenza e poi come studioso di diritto ecclesiastico sotto la guida di Francesco Ruffini. È una cultura solida e raffinata, improntata al dubbio, improntata al rigore e libera da pregiudizi, come testimoniano i suoi studi sul giansenismo. Nella sua lunghissima vita (1891-1981) Jemolo ha partecipato attivamente all’azione politica senza risparmiarsi. Pur essendo pacifista non si è sottratto da combattente alla Prima guerra mondiale; nella sua mansione di funzionario statale è al seguito della delegazione italiana per la negoziazione dei Trattati di pace; milita nella fronda antifascista, firmando il Manifesto di Benedetto Croce. Rispetto al Regime era rimasto “impassibile”, come lui stesso si era definito, e non aveva collaborato come molti suoi autorevoli colleghi allo smantellamento dello Stato da loro stessi costruito; piuttosto si era rifugiato nel metodo formale quale “muro protettivo” dalla realtà politica del momento.

Prosegue l’insegnamento, giurando fedeltà al fascismo, ma dalla sua cattedra romana non manca di fedeltà alla sua coscienza, criticando apertamente la politica mussoliniana in materia di religione. Con lo stesso coraggio ospita nella sua casa una famiglia di ebrei salvandoli dalla persecuzione: non era una solidarietà dettata dalle sue origini familiari — Jemolo era nato da madre israelita, parente dei Momigliano — era piuttosto il frutto della sua coscienza civile e dell’impegno personale nella lotta per le libertà. Nel secondo dopoguerra era stato protagonista della rinascita democratica e culturale del Paese. Da azionista aveva collaborato alla redazione della Costituzione, anche se molte delle sue idee non furono accolte: era federalista, presidenzialista, anticoncordatario. Continua però ad insegnare i principi racchiusi nella Carta e ad esserle fedele anche se gli ideali per i quali si era sacrificato erano stati in parte delusi; il nuovo Risorgimento chiedeva l’impegno degli intellettuali, e Jemolo continua la sua battaglia su Il Ponte di Calamandrei, Il Mondo di Pannunzio, La Cultura di Calogero, Belfagor di Russo, L’Astrolabio di Pani. Aveva lavorato intensamente alla costruzione di un paese democratico, seguendone tutte le evoluzioni e il declino negli anni della lotta armata.

Da giurista e da avvocato, pubblicista e rotale, Jemolo si è occupato dei principi costituzionali in materia di eguaglianza dei coniugi, del matrimonio civile e canonico, del diritto di famiglia — un’istituzione, questa, che reca impressa in modo indelebile la sua immagine dell’«isola che il mare del di-ritto può solo lambire» — rivendicandone l’autonomia rispetto allo Stato. E aveva seguito con passione l’evoluzione del diritto, attraverso gli interventi legislativi, le sentenze più innovative, le idee più sollecitanti, in una rubrica che teneva per la rivista di diritto civile intitolata Gli occhiali del giuri-sta. Maestro del diritto ecclesiastico, Jemolo era un uomo profondamente laico, anche se credente. Non era anticlericale, come lui stesso teneva a sottolineare, ma vicino al cattolicesimo sofferente di Ernesto Bonaiuti, e aveva apprezzato il rinnovamento conciliare di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Laico, liberale, cattolico, progressista, teso a difendere gli spazi di libertà e al tempo stesso il culto religioso: il suo è il messaggio di una laicità non intollerante ma intelligente. Non quindi, secondo il principio cavouriano, libera Chiesa in libero Stato, ma entrambi, Chiesa e Stato, nel loro ordine liberi e sovrani. Credo che tutti si possano riconoscere nelle sue parole: «La nostra laicità non ha nulla di antireligioso, può essere praticata anche da una popolazione interamente cattolica alla sola condizione che essa accetti l’idea di una distinzione tra funzioni dello Stato e quelle della Chiesa» (La laicità, Nizza, 1960). L’attualità è il segno della forza del suo pensiero.

 

La Republica, 1 Maggio 2020

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