Il bisogno di Dio e la partecipazione popolare ai funerali di Francesco

Il bisogno di Dio e la partecipazione popolare ai funerali di Francesco

Più di uno tra i commentatori cattolici ha interpretato la straordinaria partecipazione popolare ai funerali di papa Francesco come il segno di una riscoperta del divino. Più d’uno tra i commentatori laici si è sorpreso che, nell’epoca del massimo trionfo della scienza e della tecnologia, un leader religioso potesse riscuotere tanto consenso. Entrambe le categorie di commentatori, sia i cattolici sia i laici, scontano evidentemente una scarsa conoscenza dell’umano. L’uomo, infatti, ha bisogno di credere. E per quanto l’appartenenza religiosa sia ormai superficiale al pari dell’appartenenza politica (“credere senza appartenere” è la brillante formula coniata dalla storica delle religioni britannica Grace Davie; “religione à la carte” è l’evoluzione del concetto formulata dal suo collega canadese Reginald Bibby), da questo bisogno è difficile affrancarsi. Lo testimonia il fatto che meno del 20% dei cittadini occidentali osi dichiararsi ateo o agnostico.

Lo avevano ben compreso persino i filosofi illuministi. Secondo Jean-Jacques Rousseau, ad esempio, le religioni positive <consolano gli afflitti> alleggerendo il peso della <loro miseria> e <frenano le passioni> dei potenti. Secondo François-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire, <è tale la debolezza del genere umano, tale la sua perversità, che è meglio per lui, senza dubbio, essere in preda a tutte le superstizioni possibili, purché non siano fonte di delitti, anziché vivere senza religione>. Una concezione della religione eminentemente politica e assai poco “spirituale”, quella dei due filosofi illuministi, ma comunque significativa vista la fonte da cui scaturisce.

<Dio è morto>, sentenziò Fridrich Nietzsche, intendendo con ciò rappresentare la definitiva tragedia e la complessiva insensatezza della condizione umana. Ma quando, in un gelido gennaio del 1889, a Torino vide un cocchiere frustare selvaggiamente il proprio cavallo gli si scagliò contro denunciandone la <disumanità> e con gli occhi pieni di lacrime abbracciò l’ignaro animale carezzandogli paternamente il capo. Se Dio era morto, in quel momento era evidentemente risorto in lui.

Nel 2001, la psicologa americana Margaret Evans ha pubblicato un’interessante ricerca condotta sui bambini nati nel Midwest americano e cresciuti in famiglie sia fondamentaliste sia non fondamentaliste. L’esperimento era volto ad indagare le credenze dei più piccoli circa la natura della vita e del mondo attraverso domande che vertevano sull’origine di alcune specie animali. Erano, perciò, enunciate le tesi creazionista (<sono creature di Dio>),  spontaneista (<sono scaturite dalla terra>) ed evoluzionista (<discendono da un genere diverso e più antico di animale>). Ebbene, i bambini più piccoli del gruppo, quelli compresi tra i 5 e i 7 anni di età, hanno dato spiegazioni creazioniste – più frequenti tra i figli di genitori fondamentalisti cattolici – e spontaneiste. L’interpretazione evoluzionista, che come sappiamo è l’unica “scientificamente” corretta, è stata snobbata da tutti. Mentre tra gli 8 e i 10 anni i due gruppi si sono uniformati e hanno aderito quasi completamente alla tesi creazionista: il mondo e i suoi abitanti sono opera di Dio. Punto e basta, mistero risolto.

Nel Settimo sigillo, film cult del regista svedese Ingmar Bergman, giunto al cospetto della Morte ed avendo da questa appreso l’inesistenza di Dio, il cavaliere Antonius Block così manifesta il proprio sgomento: <Allora la vita non è che un vuoto senza fine! Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo in un nulla senza speranza>. Concetto per molti versi fatto proprio del grande storico delle religioni di origine rumena Mircea Eliade, secondo il quale l’alternativa alla fede in Dio non è il trionfo della Dea Ragione, ma il trionfo della superstizione.

Non occorre, dunque, come nel caso di chi scrive, aver ricevuto il dono della fede per capacitarsi di questa realtà. È così e basta. Ciò su cui, semmai, sarebbe opportuno riflettere è l’efficacia complessiva delle scorciatoie. Capi religiosi come Bergoglio e capi politici come Trump – giusto per citare i più citati –  hanno ritenuto di rigettare il linguaggio, i principi e lo stile della Chiesa l’uno e della Politica l’altro, per rivolgersi direttamente alla pancia e in parte al cuore degli uomini. Difficile credere che tutto questo abbia rinvigorito la fiducia nelle Istituzioni che i due rappresentano.

Le semplificazioni populistiche possono servire a consolidare la carriera personale di questo o quel leader religioso o politico, ma l’impressione è che non servano a consolidare la fiducia nella Chiesa e nella Politica in quanto tali.

Huffington Post

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