“Globalisti vs populisti? La contrapposizione rimane tra liberali e statalisti”

“Globalisti vs populisti? La contrapposizione rimane tra liberali e statalisti”

Von Hayek, Friedman, Luigi Einaudi, l’euro e il futuro del centrodestra: ne parla Antonio Martino in questa intervista ad Alessandro Rico per La Verità

«Ho avuto la fortuna di conoscere alcuni dei giganti del pensiero del XX secolo. Durante il mio periodo di studi, a Chicago, sono stato allievo di ben sette economisti futuri premi Nobel». Antonio Martino, una miniera di esperienze e di ricordi di grandi intellettuali del Novecento, è un liberale vecchio stampo, di formazione angloamericana e vicino alla Scuola austriaca, reaganiano e thatcheriano (una foto che lo ritrae con la Lady di ferro campeggia sulla home page del suo blog). È figlio d’arte: suo padre Gaetano fu ministro degli Esteri, poi presidente del Parlamento europeo dal 1962 al 1964, tra i protagonisti della conferenza di Messina del 1955 che gettò le premesse per l’Euratom e la stipula dei trattati di Roma, che istituirono la Comunità economica europea. Martino è stato professore di storia e politica monetaria alla Luiss di Roma, ministro degli Esteri nel primo governo Berlusconi e della Difesa quando il Cavaliere tornò a Palazzo Chigi nel 2001.

Professor Martino, ma tra questi «giganti» quale ricorda con più ammirazione?

«Non è facile scegliere. Ho conosciuto uno dei più importanti teorici del liberalismo, Friedrich von Hayek. Ma il mio vero maestro fu Milton Friedman, Nobel per l’economia nel 1976».

Ma Friedman non era quello contrario all’euro?

«Se non ha fretta, le spiego bene come stanno le cose».

Nessuna fretta, prego.

«Con Friedman ebbi una corrispondenza quando mia figlia lavorò a una tesi di laurea in scienze politiche sull’euro, muovendo alcuni rilievi alla costruzione della moneta unica. Quando gli riferii il contenuto della tesi lui mi disse che era d’accordo con quelle critiche, ma aggiunse anche delle precisazioni».

Quali?

«Si disse sorpreso dal fatto che all’inizio l’euro aveva effettivamente avvicinato tra loro le politiche economiche dei Paesi europei».

Quindi all’inizio l’euro funzionava?

«Aveva indubbiamente contribuito al raggiungimento di uno degli obiettivi che si prefiggevano i suoi ideatori: l’integrazione. Però…».

Però…

«Ecco, Friedman mi disse che però con la moneta unica l’Europa “si era chiusa in una gabbia e aveva buttato via la chiave”. Se l’euro avesse smesso di funzionare, non ci sarebbe stato un piano per uscirne in modo ordinato».

Allora faceva bene Paolo Savona a parlare di piano B?

«lo conosco da anni Savona e la penso diversamente da lui, che è un uomo di sinistra. Però siamo entrambi critici del progetto dell’euro e abbiamo il coraggio delle nostre idee. Un altro che ha contestato la moneta unica, per ragioni opposte alle mie, è Giorgio La Malfa».

Quindi lei è un liberale euroscettico?

«Io sono fortemente critico verso l’Unione europea, ma non sono un euroscettico».

Che differenza c’è?

«La differenza, visto anche chi era mio padre Gaetano, è che io voglio salvare l’Unione. E credo che quanto è stato fatto finora in Europa non ne favorisca l’unificazione, ma piuttosto miri all’uniformità».

Mi faccia capire meglio.

«Le faccio un esempio banale. Negli Stati Uniti ci sono 50 Stati e 50 targhe automobilistiche diverse. Eppure questo non incide sull’unione politica del Paese. In Europa invece, ci è stato imposto lo stesso tipo di targa. Che senso ha?».

Ma allora perché quelli che in Italia si definiscono liberali sono tutti pro Ue e pro euro?

«Il fatto è che sulla definizione di liberale non c’è copyright. E quelli che si definiscono tali non la pensano tutti allo stesso modo».

Non sono veri liberali?

«Sono liberali su alcune cose e non su altre. Essere coerentemente liberali, d’altronde, non è per niente semplice».

Lei è un liberista, ma nel 2012 votò contro il pareggio di bilancio in Costituzione.

«Votai contro il fiscal compact. Il pareggio di bilancio c’era già ed era stato voluto da due persone che la pensavano in modo diversissimo: Luigi Einaudi liberale e liberista ed Ezio Vanoni, cattolico di sinistra e favorevole alla programmazione economica».

Lo chiedo a un esponente storico come lei: che fine ha fatto il centrodestra italiano?

«Probabilmente non c’è mai stato davvero».

Scusi, Silvio Berlusconi non ha governato per nove anni e mezzo?

«Appunto. Il centrodestra fu una sua invenzione. Fu lui a mettere insieme partiti che tra loro erano addirittura avversari, in particolare Alleanza nazionale e la Lega Nord. Prima Gianfranco Fini e Umberto Bossi non si parlavano neppure. Fu un piccolo miracolo».

Oggi quella coalizione creata «per miracolo» non esiste più?

«No, non c’è più. La Lega di Matteo Salvini ha scelto di costituire un governo con il Movimento 5 stelle, che non è inquadrabile in nessuno degli schieramenti cui eravamo abituati».

È colpa di Salvini?

«La responsabilità è di chi ha costruito un’alleanza che non può essere considerata né di centrodestra né di centrosinistra. Perché se è vero che il centrodestra non esiste più, è vero che pure il centrosinistra è scomparso».

E allora qual è la contrapposizione politica del futuro? Globalisti contro populisti?

«La vera contrapposizione resta sempre tra liberali e statalisti, tra chi vuole più intervento pubblico e chi vuole meno Stato, meno tasse, meno restrizioni e più libertà d’impresa economica. Solo che adesso è più difficile capire dove siano i liberali e dove gli statalisti. Ad esempio, per me i grillini sono davvero indecifrabili».

Indecifrabili?

«Sì, non saprei come qualificarli. La loro opposizione alle opere pubbliche mi sembra configurare una vera e propria ostilità al progresso. Da questo punto di vista i 5 stelle sono addirittura reazionari».

E la Lega è liberale o statalista?

«Secondo me nella Lega ci sono ancora molti liberali, il partito è rimasto quasi tutto idealmente di centrodestra. Lo stesso Salvini dice molte cose che sono coerenti con le idee della coalizione».

Ma Berlusconi non ha nessuna colpa nella crisi del centrodestra?

«Guardi io un altro come Berlusconi non l’ho mai conosciuto».

Addirittura?

«Quando mi disse che voleva entrare in politica io cercai di dissuaderlo: “Chi te lo fa fare?’, gli dissi. E lui: “Professore, lei non capisce: quando ero nell’edilizia, annunciai ai miei colleghi che avrei realizzato una città satellite a Milano. Mi risero in faccia e io poi ne ho fatte due. E così con il Milan e con Publitalia. È sempre stato avanti a tutti. Anche io quella volta gli risi in faccia; pochi mesi dopo era presidente del Consiglio».

È vero che l’avrebbe voluta alla presidenza della Repubblica come successore di Giorgio Napolitano?

«Sì. Mi telefonò e me lo disse: “Quando ho proposto ai gruppi parlamentari Antonio Martino come candidato di bandiera è partito un fragoroso applauso”».

E lei cosa gli rispose?

« Lo ringraziai, ma niente di più. Mia moglie poi mi scoraggiò: “Sette anni al Quirinale sono peggio di una condanna a morte”».

Pensa che ora Forza Italia si alleerà con il Pd?

«Non credo, però posso dirle una cosa?».

Mi dica pure.

«Matteo Renzi, con la rottamazione, è riuscito a privare il Partito democratico della sua radice storica comunista».

Mi vuole convincere che non sarebbe così assurda un’intesa con questa sinistra?

«No, assolutamente. Voglio dire soltanto che la vera crisi politica è questa: è il Pd a essere veramente allo sbando».

E Giorgia Meloni come la vede?

«La Meloni è una ragazza da non sottovalutare. Ha le idee chiare. non ha sempre ragione, ma è forte».

Su che base programmatica potrebbe eventualmente rinascere il centrodestra?

«Il problema è proprio questo: il centrodestra sfortunatamente non è nato su una base programmatica, ma su una personalità. Il centrodestra era Berlusconi. Dopo di lui c’è solo il nulla. 0 si trova qualcuno alla sua altezza, o il vecchio centrodestra scompare definitivamente».

Antonio Tajani, ad esempio?

«Con tutta la stima per Tajani, direi proprio che non regge il confronto con il Cavaliere».

E Salvini?

«Anche se si liberasse dei grillini, non ce lo vedo come leader e federatore della coalizione».

Il governo Lega-5 stelle secondo lei durerà?

«Cito una battuta del democristiano Publio Fiori: “Questo governo ha gli anni contati”…».

Lei che è un esperto di esteri e un estimatore di Ronald Reagan: che ne pensa di Donald Trump?

«Apprezzo soprattutto una cosa: che la sua elezione sia stata un sonoro pernacchio che gli americani hanno rivolto ai benpensanti di tutto il mondo».

Ma davvero Trump vuole scatenare una guerra commerciale?

«Non penso. L’ha usata come spauracchio per costringere l’Unione europea e la Cina ad adottare politiche commerciali più responsabili».

Mi tolga un’ultima curiosità.

«Volentieri».

Lei ha avuto una carriera politica invidiabile. Si rimprovera qualcosa?

«Il bilancio di questi 24 anni è buono. Ma se proprio dovessi rimproverarmi una cosa, mi rimprovererei di esserci entrato, in politica…».

Alessandro Rico, La Verità 27 maggio 2018

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