Globale è bello

Globale è bello

A febbraio s’annunciò la fine della globalizzazione. La velocità con cui correva il virus la condannava quale complice: perché le autorità internazionali non avevano vigilato, perché uno dei protagonisti aveva taciuto, perché i contagi volavano con gli aerei. Come spesso capita alla analisi sicure di sé, anche questa s’è rivelata una sicura fesseria.

Le autorità internazionali sono quelle cui non si vuol cedere nulla, al punto che la sanità non solo non è europea, ma manco nazionale, essendo stata ridotta a regionale. La Cina tacque colpevolmente, ma la successiva retrodatazione dei contagi segnala che a non capire e riconoscere si fu in diversi, taluni recidivi. I contagi correvano anche a dorso di mulo, che la pesta manzoniana, a ben pensare, come tanti altri flagelli precedenti e successivi, seminava morte veloce anche con deambulazione lenta.

La globalizzazione non è finita manco per niente, ma alcune cose le abbiamo imparate. Le sapevamo già, per essere sinceri, ma le prendevamo sottogamba. Esempio: concentrare le produzioni in un Paese o zona aumenta troppo i rischi. Riesempio: se crei autorità internazionali non metterci solo la targa e i funzionari, falle anche funzionare. La lezione è stata chiara. Ma anche l’epilogo, perché senza globalizzazione il virus lo avremmo avuto lo stesso, ma non avremmo avuto il vaccino. Genoma isolato a Roma; due immigrati turchi, in Germania, vedono una strada; una multinazionale statunitense investe sull’idea; autorità internazionali vigilano sulla sperimentazione, quelle nazionali riesaminano e ratifica; altri e differenti vaccini nascono in analoghe collaborazioni fra laboratori lontani; parte la produzione per il mercato globale; che si piò raggiungere grazie a logistica interna a un unico mercato. Un grande salto della scienza, certo, ma anche un poderoso frutto della globalizzazione.

A proposito: buon Natale fatto. Non sto a ricordarvi cosa si celebri, in quella ricorrenza, ma la si festeggia in quasi tutto il mondo, anche in quello che non riconosce la ricorrenza. Questo ha ucciso le civiltà locali? No: a Palermo i giocattoli li portano ancora i morti, in Cina non si sono convertiti in massa e i problemi, seri, non sono laddove comunque si festeggia, perché la festa è globale, ma dove ci si rifiuta di festeggiare e far festeggiare, perché ritenuto blasfemo. Il dramma non è la globalizzazione, ma il ringhio di chi pretende di cancellarla. In nome di un’impura e tendenzialmente fetida purezza.

Arrivederci al prossimo pronostico catastrofista e nazionalista, capace solo di portare male ai popoli e disonore alle Nazioni.

Formiche

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