Tratto da Libro Aperto, n. di Aprile/Giugno 2016 – Rileggere Giovanni Malagodi nella vicenda politica italiana a 25 anni dalla sua scomparsa, costituisce un’occasione per riflettere su ciò che è stata la storia del Paese e – forse – di quel crinale che distingue tutt’ora la democrazia italiana da altre in Europa. Quanto all’uomo politico, vanno definitivamente confutate sia l’abusata tesi del “Mondo”, che addebitava a Malagodi di “aver consentito che il nobile partito di Croce ed Einaudi fosse affittato alla Assolombarda” (1), sia quella di un uomo, in fondo, estraneo all’esperienza della classe politica formatasi tra le due guerre fino alla Liberazione: una certa vulgata lo riferisce come un politico tardivo rispetto alla sua ben più pregnante esperienza di banchiere e radicata formazione liberista (2).
In realtà alla sua profonda formazione umanistica, Malagodi affiancava una cultura filosofica non comune, ulteriormente arricchita dall’esperienza professionale cosmopolita, mentre l’interesse per la politica si era manifestato fin dalla prima giovinezza, con la tesi di laurea recensita da Croce (3) e la correzione delle bozze delle memorie di Giolitti. Nè, in quegli stessi anni giovanili, la sua curiosità si fermava ai libri e allo studio. visto che seguiva il padre nei più diversi circoli politici. Sul punto rimangono varie tracce, anche se egli non indugiava spesso sui ricordi personali, e lui stesso, scrive di frequentazioni non certo solo liberali (4) (“…ricordo una piacevole visita con mio padre a Turati ed alla Kuliscioff nel ’23 nel loro appartamento fra lo sbocco della Galleria e Piazza Duomo a Milano“).
E così, mentre negli anni ’50, tanti si affannavano a ad esibire blasoni antifascisti, ben raramente egli soleva riferire quanto la sua famiglia avesse patito all’avvento del Fascismo “concretamente operando per quanto possibile per puntellare il regime di libertà” né tantomeno egli si soffermava su come, dolorosamente, “nel ’22 Malagodi (il padre Olindo n.d.r.) fu malmenato dai fascisti e nel ’23 fu costretto a lasciare la Tribuna” (5).
CONTINUA A LEGGERE QUI (VERSIONE PDF)