Forcaioli irresponsabili

Forcaioli irresponsabili

Da oggi è in vigore una norma che prova a restituire un senso alla previsione costituzionale (articolo 27) secondo cui nessuno può essere considerato colpevole di un reato fin quando non lo abbia stabilito una sentenza definitiva. Ci si è arrivati sotto la minaccia europea che ove non si fosse provveduto a rientrare nel novero dei Paesi civili, recependo la direttiva, anche il flusso di quattrini si sarebbe fermato. Fortunatamente c’è, quel vincolo. Ma è umiliante essere costretti da fuori, nel 2021, a dovere rispettare la propria Costituzione, del 1948.

Abbiamo risolto? Ne dubito, perché decenni d’inciviltà hanno imbastardito la cultura, inquinato gli animi e aizzato il peggiore giornalismo. Tutto lo spettacolo dell’accusa è stato allestito da inquirenti ed esibizionisti, ma a quello spettacolo il giornalismo, la politica e tanti cittadini hanno partecipato da forcaioli in servizio permanente effettivo. E, diciamocelo senza ipocrisie: quando non solo arrestano, ma anche solo inquisiscono qualcuno l’ipotesi che possa essere innocente è l’ultima delle cose che passa per la testa di troppi. Che è poi la Ragione per cui ci ostiniamo a ricordarlo. Comunque, da oggi è in vigore la nuova legge: dalla procura potrà comunicare uno solo, il capo, e solo per iscritto, mentre informazioni potranno essere fornite sono in “casi di rilevanza pubblica dei fatti”. Mi chiedo cosa non lo sia. Staremo a vedere, ma conservo un certo scetticismo. Non dovessi più leggere intercettazioni telefoniche, relative ad inchieste per cui il processo non si vede manco da lontano, ne sarò felice.

Rimediare ai danni culturali e morali, però, richiede altro. Le notizie di arresti e inchieste continueranno a circolare. Se le notizie circolano i giornalisti le pubblicano. Non può che funzionare così. La parte patologica è avere un giornalismo lecca e copia di procura, ma anche a volere sperare di toglierselo dai piedi, le notizie ci saranno sempre e sarà giusto diffonderle. Cambia pochino, se non si pone rimedio sia dal lato della giustizia che da quello dell’opinione pubblica. Per farlo non servono predicozzi, corsi di rieducazione o improbabili previsioni di cancellazione dell’oralità. Serve che la giustizia funzioni.

Ci sono procuratori che hanno sostenuto, per iscritto, che i processi sarebbero arrivati, ma che il giudizio dell’opinione pubblica era già stato espresso, grazie al lavoro da loro svolto. Non solo non sono stati buttati fuori o censurati, ma osannati. E quei giornalisti che ne raccoglievano le elemosine d’indagine si son fatti una carriera costruita sul coraggio della denuncia. E siccome son coerenti, ora che un po’ l’aria cambia (poco), son pronti a denunciare che, forse, non è che fosse proprio tutto oro colato, quello che era loro stato elargito e agli altri avevano ammannito. Questa roba non la spezzi moraleggiando, ma facendo funzionare la giustizia.

La notizia di un reato si diffonde, come anche l’ipotesi che abbiano trovato il reo. Ad avvelenare la convivenza civile è l’irresponsabilità. Abbiamo costruito un sistema di irresponsabili. Per rimediare serve che l’azione penale non sia come passare le carte all’anagrafe, ma comporti responsabilità: è lo Stato che mi porta in giudizio, è un incaricato dello Stato che sostiene l’accusa, se ho commesso il reato merito la condanna, se sono innocente qualcuno deve rispondere della violenza che ho subito. Perché questo abbia un senso occorre che fra il sorgere dell’accusa e l’arrivo della sentenza passi un tempo ragionevole, altrimenti perdono significato sia l’assoluzione che la condanna. Lo perde la giustizia. E occorre che se viene riconosciuta l’innocenza non solo la notizia non sia taciuta o rimpiattata, come sempre capita, ma sia ripetuta con lo stesso rilievo e ossessività dell’accusa.

Non ci servono pannicelli tiepidi, ma: separazione delle carriere; fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e connessa responsabilità; termini di procedura tutti inderogabili. Il resto è fuffa.

La Ragione

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