FLER NEWS N.12


                                                                                     

 

 

Gli uomini del secolo passato supposero che bastasse lasciar agire gli interessi opposti perché dal loro contrasto nascesse il vantaggio comune. No, non basta. Se si lascia libero gioco al laissez faire laissez passer, passano soprattutto gli accordi e le sopraffazioni dei pochi contro i molti, dei ricchi contro i poveri, dei forti contro i deboli, degli astuti contro gli ingenui. (Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, in «Rivista di storia economica», giugno 1942)

L’uomo libero vuole che lo stato intervenga, così come sono sempre intervenuti i legislatori saggi di tutti i tempi e di tutti i paesi. Forseché i codici del diritto privato non danno da millenni norme alle quali i cittadini si devono attenere nelle loro transazioni civili e commerciali, nella loro vita familiare (matrimoni, paternità, filiazione e relativi doveri)? Lo stato interviene per fissare le norme di cornice entro le quali le azioni degli uomini possono liberamente muoversi; non ordina come gli uomini debbono comportarsi nella loro condotta quotidiana. (Concludendo, da Prediche inutili, Einaudi, Torino, 1959)

 

 ALDE: la koinè liberaldemocratica 

di Valerio Zanone

Va dato atto al presidente del gruppo liberaldemocratico nel parlamento europeo, Guy Verhofstadt, di  essersi prodigato affinchè alle ormai prossime elezioni non manchi in Italia la lista dell’ALDE. L’Europa non è, come nell’Iliade, una ninfa mitologica; è la creazione storica delle tre principali famiglie della democrazia sovranazionale, i democristiani, i socialdemocratici e i liberaldemocratici. L’ALDE (alleanza liberaldemocratica europea) è erede in linea diretta della federazione ELD (european liberal democrats) costituita a Stoccarda nel 1976 da nove partiti  fra i quali il  Partito Liberale Italiano, rappresentato nel board di fondazione da Giovanni Malagodi e, si parva licet etc., Valerio Zanone.
Dopo l’opzione socialista del PD, decisa da Renzi non senza contrasti interni (solo in parte affiorati in pubblico), il simbolo  dell ‘ALDE, che costituisce il terzo gruppo del parlamento europeo, rischiava di non essere presente sulle schede in Italia, ma Verhofstadt ha fatto e sta facendo il possibile per mettere insieme associazioni e gruppi della diaspora liberale. Ci vorrà molta pazienza, e non tutte le differenze scompariranno; si tratta di mettere insieme non un puzzle, dove ogni pezzo è inseparabile dagli altri, ma un lego, dove ogni pezzo inventa qualcosa di nuovo. Alla fine, per non fermarsi alla metafora dei giocattoli, la lista italiana dell’ALDE dovrebbe costituire una koinè, una lingua comune fra tribù che vivono separate ma riescono a capirsi.

Guy Verhofstadt è un europeista sperimentato e il suo programma punta senza ambiguità verso l’Unione politica. Le elezioni europee saranno quest’anno differenti da tutte le precedenti, saranno un plebiscito fra chi è contro l’euro e chi è per l’unione. La lista dell’ALDE si contrappone al populismo regressivo che dilaga in tutta Europa e anche in Italia.

Il Papa visto da un bastiancontrario* 
di Dino Cofrancesco

Papa Bergoglio non piace al gruppo dei quattro gatti liberali di cui faccio parte; piace poco, in genere, agli intellettuali di destra e di sinistra che incontro nei luoghi di lavoro. La sua crociata contro l’individualismo, il consumismo, la globalizzazione, il relativismo culturale, le sue ‘pose’ populiste da parroco di campagna del Sud America (qualcuno parla di ‘peronismo’), la sua semplicità che sembra neutralizzare il ‘carisma d’ufficio’, la sua capacità di mandare in visibilio le masse con parole semplici e gesti spontanei, le sue ‘incertezze’ etico-teologiche (‘chi sono io per giudicare…’) fanno arricciare il naso anche a molti credenti, abituati a ben diversi ‘stili’ pontifici.A me tutto questo invece piace, in primo luogo, per una insopprimibile e radicata simpatia per le forme espressive – politiche e sociali – che sanno di qualunquismo (e di populismo), in secondo luogo, per una congenita allergia all’aria di sufficienza verso le ‘masse’ di solito accusate di ogni volgarità e di ogni turpitudine, come se fossero le masse ad aver governato finora il mondo e non le élite politiche e intellettuali, che ora le esaltano e le mobilitano, ora ne prendono le distanze, levando alti gemiti al cielo: oh tempora! Oh mores!. In fondo, <questa è la democrazia bellezza!>: sono le ‘folle’ di individui, elettori e consumatori, che decidono ormai il destino delle comunità politiche (e per fortuna, giacché se fossero stati gli intellettuali e non loro ad avere la maggioranza nel 1948 nessuno ci avrebbe evitato il destino delle democrazie popolari).

Sì, Papa Bergoglio tuona contro l’individualismo cieco e irresponsabile, richiama l’attenzione sulle vittime dei cicli economici, ricorda le schiere dei poveri che bussano alle nostre porte e alle quali non diamo ascolto, mette in guardia contro la violenza degli stati, i fanatismi religiosi, invita al dialogo e alla tolleranza. Si capisce bene come le sue prediche possano infastidire la ‘società degli indifferenti’, si comprende meno come possano apparire il segno di una lontananza incolmabile dall’universo liberale. Francesco, nei suoi scritti, non sembra certo un discepolo di Locke e di Montesquieu (peraltro cristiani entrambi) ma l’anti-individualismo non è l’antitesi della ‘società aperta’.
In un paese, come il nostro, dove si sono perduti, con la morte della patria, i legami profondi che tenevano unite le generazioni, dove l’idea di stato nazionale è in crisi e l’Inno di Mameli commuove solo durante le partite, si è smarrito il senso delle ‘connessioni sociali’, dei ‘valori comuni’ che tanto preoccupavano i grandi liberali dell’800. A partire dal più grande di tutti, Alexis de Tocqueville, che nella Democrazia in America registrava, spaventato, i progressi di una democrazia individualista che avrebbe azzerato, co
l tempo, ogni idea di  solidarietà. <L’individualismo – scriveva – spinge ogni singolo cittadino ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per conto proprio, abbandona volentieri la grande società a sé stessa. L’individualismo non inaridisce sulle prime che la sorgente delle virtù pubbliche; alla lun­ga, però, attacca e distrugge tutte le altre>.
Quando Papa Bergoglio ammonisce che il denaro non è tutto, non si iscrive certo alla ‘scuola del liberalismo’ ma neppure a quella dei suoi avversari ideologici più accaniti.<Riconoscere che ogni persona è degna della nostra dedizione non per il suo aspetto fisico, per le sue capacità, per il suo linguaggio, per la sua mentalità o per le soddisfazioni che ci può offrire, ma perché è opera di Dio, sua creatura>. Sono parole che avrebbero sottoscritto Kant e Tocqueville.
Diverso, invece, e più complesso è il discorso sulla filosofia sociale ed economica di Francesco, anticapitalista e fondata su un pauperismo tanto ingenuo quanto toccante (“l’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede”). Nell’enciclica Evangelii Gaudium, si legge che <finché non si risolveranno radicalmente i proble­mi dei poveri, rinunciando all’autonomia assolu­ta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali> e che <l’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trova­to una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano>. Sono parole che – per il papa, deposito di ogni verità sul mondo moderno – rivelano l’incapacità del Compendio della dottrina sociale della Chiesa di comprendere le vere <cause della ricchezza e della povertà delle nazioni>.
In realtà, con buona pace di Karl Marx, dei teologi vaticani, dei vescovi brasiliani e filippini, l’economia non è il solo fattore di trasformazione del mondo contemporaneo e il capitalismo non è il peggiore modo di produrre e distribuire i beni
della terra (ce ne sono altri, quelli  totalitari, che si sono mostrati assai più disumani). Lo sanno bene i  partiti cristiani  che, al governo, o hanno fatto le stesse cose dei liberali (tranne in campo bioetico) o hanno seguito fumose e inconsistenti ‘terze vie’. È giusto ribadire che l’amore per il prossimo non <dovrebbe intendersi come una somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di carità à la carte, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza>, ma occorre non dimenticare che i vari sistemi economici – quello capitalista in primis – funzionano in presenza di istituzioni politiche, giuridiche e culturali stabili e ben congegnate. A fondarle e a consolidarle sono i popoli maturi attraverso meccanismi di partecipazione democratica, nella consapevolezza che, a guastare la festa comunitaria e solidaristica, non sono solo Mammona e l’auri sacra fames ma un groviglio di interessi, di ambizioni di classi, di individui, di partiti, di sindacati, che non esiterebbero a stravolgere la natura del mercato per conservare i propri privilegi. Il potere economico è solo una forma di potere, Bergoglio e la Chiesa rischiano di dimenticare le altre.*l’articolo di Cofrancesco, membro della consulta liberale, è apparso su Il Giornale del 20 marzo 2014

 I tassi possono essere negativi? 

di Giuseppe G. Santorsola*

Uno studente di economia si forma partendo dal concetto che il capitale deve essere remunerato. Investire con rendimento negativo appare quindi assurdo, ritenendosi preferibile trattenere la liquidità. Molti italiani ricordano peraltro che, agli esportatori di capitali, negli anni ’60-’70 le banche elvetiche offrivano depositi in franchi svizzeri con rendimenti negativi resi positivi per il cliente che trasferiva somme nella propria valuta (la lira) proteggendole dal degrado del cambio e del potere di acquisto.
Ulteriore esperienza si è realizzata in Eurolandia nel 2011 quando, con lo spread ai massimi, le emissioni di titoli tedeschi offrivano rendimenti vicini allo zero con risultati effettivi negativi perché il collocamento con alta domanda generava prezzi di sottoscrizione superiori a 100. Talvolta è accaduto che la strategia si sia rivelata pericolosa, col rischio di mancata copertura dei volumi in offerta (in particolare nelle aste di novembre 2012). Talché qualche volta la riduzione dello spread è stata generata dall’aumento dei tassi tedeschi più che dalla diminuzione
di quelli dei Paesi più fragili.
Nei tempi attuali si parla di taglio del t
asso di interesse sui depositi delle banche presso la Bce al di sotto dello zero. La finalità sarebbe il rendere più lineare la transizione dal periodo pre-Omt a quello post-Omt, con riserve complessive molto più contenute di quelle, oggi eccessive. Questi accadimenti meritano un approfondimento.
Benoît Cœuré, membro belga della Bce, ha definito l’opzione tassi negativi come “assai  probabile”. Mario Draghi ha più volte dichiarato, con l’ufficialità che ne caratterizza (o condiziona) le esternazioni, che la Bce è tecnicamente pronta, ma non ha mai confermato la decisione di attuare la misura. Joerg  Asmussen, membro tedesco della Bce, ha invece espresso proprie riserve sull’efficacia dello strumento.
Bostjan Jazbec, banchiere centrale sloveno, ha ammesso di ritenere difficile il concetto stesso di “tassi negativi”, Per l’economista Angelo Baglioni la misura è potenzialmente controproducente, mentre per altri è ancora un “terreno inesplorato”. Uno studio del FMI ipotizza invece, in modo anomalo, la misura come un “segnale di responsabilità”. Alan Blinder della Princeton University li analizza, peraltro per il mercato americano, e ne valuta l’efficacia sulla base di un approccio misto keynesiano e monetarista, per il quale manca la verifica applicativa.
Peraltro, imputare tassi negativi sulle riserve bancarie “in eccesso” stimola le banche a liberarsene investendo in titoli o erogando (non però attualmente) prestiti alle imprese. La tentazione di considerare l’ipotesi sussiste, soprattutto nella condizione in cui i tassi di mercato sono comunque estremamente bassi e – quasi ufficialmente – dichiarati mantenibili su quei livelli.
Dal punto di vista delle banche, pagare per posizionare liquidità è anomalo nonché costoso. In conseguenza di questa anomalia, qualora realizzata. le banche sopporterebbero un costo (basso) per la moneta calda (immaginiamo 0,1-0,2%) e si avvantaggerebbero del differenziale fra costo del rifinanziamento presso la BCE e tassi di mercato. Il mercato interbancario risulterebbe peraltro bloccato dalla non convenienza per il creditore di investirvi a tassi “assurdi” svuotando l’efficienza del mercato della hot money, un elemento invero essenziale per la gestione bancaria. Un ritorno indesiderato alle condizioni di quaranta anni fa, quando l’unico interlocutore nel brevissimo periodo era proprio e solo la Banca Centrale. Non possiamo peraltro dimenticare che tutte le piazze finanziarie, un tempo considerate avanzate, hanno tassi molto bassi (anche più di Eurozona), il che comporta la forza dell’euro, espressione da un lato della capacità di governo della BCE e dall’altro condizionamento insostenibile della economia reale.
Sarò un liberista, ma tutte le condizioni descritte evidenziano la difficoltà di governare dall’alto l’andamento dei prezzi del denaro con misure che generano inevitabilmente reazioni negli operatori che attenuano l’efficacia delle misure. I princìpi che ispiravano la scelta monetaria della UE erano differenti e l’anemia del contesto economico non offre conforto alle scelte, magari necessarie, attuate in assenza di un andamento economico meno depresso. In altri termini, la BCE sembra compiere il suo lavoro, ma in un contesto alquanto sfavorevole e, di fatto, contrastante. Manca Eurolandia e non è positivo affermarlo a due mesi dalle elezioni europee. Possiamo anche concordare per l’assunzione della medicina “tasso negativo”. In dosi e tempi ridotti per evitarne effetti invasivi. Una regola anomala per tempi anormali, un curaro che non deve diventare cianuro sapendolo togliere al momento giusto.

* Ordinario di Corporate Finance e Corporate & Investment Banking all’università Parthenope di Napoli

 Salvate il soldato Shaw 

George Bernard Shaw è innocente: con la celebre definizione dei boy scout non c’entra nulla. Ce lo fa notare Attilio Grieco, già capo scout della FSE, in una lettera inviata a Enrico Morbelli (suo antico caposquadriglia nelle Aquile del Riparto ASCI Roma XVII):

Caro Enrico, ho letto con interesse il tuo “pezzullo” ed ho imparato finalmente chi era Josette Lupinacci, che avevo trovato varie volte citata fra le fondatrici delle Guide.
Da parte mia ricambio, un po’ alla maniera di Mario Sica, che tu definisci “scout pignolissimo”, raccontandoti (pignolescamente anche io) che la famosa frase attribuita a G. B. Shaw, (“Bambini vestiti da cretini, ecc”), non è del famoso scrittore e commediografo irlandese: si tratta di un errore esclusivamente italiano nato chissà come, perché all’estero la “perfida definizione” non viene mai accostata al Premio Nobel per la letteratura.
La frase originale in lingua inglese è infatti di Jack Benny, un comico americano. Per tuo erudimento personale ti informo che la frase originale in inglese è: “A scout troop consists of twelve little kids dressed like schmucks following a big schmuck dressed like a kid“. E cioè: “Un riparto scout consiste in 12 ragazzini vestiti come stupidi che seguono un grosso stupido vestito come un ragazzino”. Attilio Grieco

Ma chi era Jack Benny? Era un attore comico statunitense che ironizzava spesso sugli scout in spettacoli soprattutto radiofonici e televisivi, come del resto molti suoi colleghi negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. La sua fama non ha mai varcato l’oceano, ma negli States aveva un grande pubblico. Celebri (vedi la foto) sono rimasti alcuni duetti con l’ex presidente americano Harry Truman il quale, lasciata la Casa Bianca, amava strimpellare allegramente il pianoforte facendosi accompagnare al violino dall’attore.

 

 

 

 

 

 

140ESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI LUIGI EINAUDI

(Carrù, 24 marzo 1874)
  • sabato 22 marzo ore 11: CERVINARA – Luigi Einaudi: 140 portati bene. L’uomo, il politico, l’economistacon Giuseppe Orlando, Rosa Grano, Filuccio Tangredi, Corrado Ocone, Enrico Morbelli e i 600 allievi dell’Istituto d’istruzione superiore “Luigi Einaudi”
  • lunedì 24 marzo ore 17: PARMALuigi Einaudi: 140 portati bene con Pierluigi Ciocca che inaugura la Scuola 2014 di Liberalismo XCI
  • lunedì 24 marzo ore 18: SULMONA – Luigi Einaudi: 140 portati bene con Franco Chiarenza, Cesare Giussani e Alessandro Mazzola
  • lunedì 24 marzo ore 19: MILANO – lezione di Carlo Secchi alla Scuola su Luigi Einaudi, 140 portati bene
  • lunedì 24 marzo ore 19: ROMA – aperitivo del Laboratorio Liberale al Settembrini per Luigi Einaudi: 140 portati bene con Natale D’Amico, Giovanni Guzzetta e Nicola Iannello
  • martedì 25 marzo ore 17: TORINO – Einaudi sarà ricordato alla Scuola di Liberalismo prima della lezione di Mauro Tosco (Istruzione obbligatoria e minoranze linguistiche)
  • venerdì 28 marzo ore 18: LA SPEZIA – Enrico Musso ricorda Einaudi alla Scuola prima della sua lezione su Liberalizzazioni e privatizzazioni: il mercato fra concorrenza, monopoli e intervento pubblico
  • giovedì 3 aprile ore 20: MESSINA – Girolamo Cotroneo parla su “Luigi Einaudi: un conservatore che guardava avanti” al Rotary Club Messina Peloro

Cittadini europei e crisi dell’euro

di Giuseppe Guarino
giovedì 10 aprile ore 15: ROMA – la Fondazione Luigi Einaudi ospiterà nella sua sede la presentazione del libro di Giuseppe Guarino “Cittadini europei e crisi dell’euro“, edito da Editoriale Scientifica. A discuterne con l’autore saranno Domenico da Empoli, Roberto Napoletano, Francesca Romana Fantetti, Marco Fortis. Presiederà Pietro Rescigno.
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