Ancora nel pieno delle discussioni sulla crisi di governo (annunciata l’8 agosto e aperta formalmente il 20, per poi sostenere che si deve fare in fretta) ci si è trovati con la storia che bussava alla porta, ricordandoci che esistono cose più grandi che non i trambusti passeggeri. Lo dobbiamo a una ricorrenza triste e a parole molto belle del presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, e del presidente italiano, Sergio Mattarella.
Nelle frazioni di Fivignano, nel 1944, la popolazione civile fu sterminata. Si trovava sulla linea gotica, fortificazione difensiva approntata dai nazisti contro gli alleati che avanzavano da sud. Lì agivano formazioni partigiane. La popolazione civile fu ritenuta responsabile di dare loro aiuto e ripetutamente punita. I morti accertati furono 173. Per questa ragione il presidente tedesco ha detto di provare vergogna e ha chiesto perdono. Non è la prima volta: lui stesso alle Fosse Ardeatine, molti anni prima Willy Brandt si inginocchiò nel ghetto di Varsavia. Essi non hanno responsabilità alcuna, per ragioni anagrafiche, politiche e morali. Ma sono tedeschi, come i criminali di allora. Li ammiro, per il loro gesto. Come ammiro le parole del presidente italiano: noi italiani non fummo solo vittime, ma anche carnefici. A Fivizzano, assieme ai nazisti, vi erano le Brigate Nere dei repubblichini di Salò.
La Germania non s’è fatta sconti, nel valutare il nazismo. In Italia ancora si fatica ad ammettere che accanto alla guerra mondiale si combatté anche una guerra civile. Rimpiattare il passato, o falsificarlo, rende precario il presente e oscuro il futuro. È un vero peccato che le parole del presidente italiano siano state assai meno riportate di quelle del presidente tedesco. Non si tratta di riaprire, ma di chiudere le piaghe.