In Russia i giornali li chiudono e i giornalisti li arrestano. Ivan Safronov lo hanno condannato a 22 anni di carcere in un processo a porte chiuse di cui, quindi, non si sa niente. Noi stessi neanche lo sapremmo se la notizia non fosse stata diffusa da Novaya Gazeta Europa, ovvero il sito europeo del quotidiano fatto chiudere da Mosca.
Eppure un problema di opinione pubblica esiste perché, checché ne dicano certi (che avrebbero fatto ridere anche il Peppone di Guareschi), nessuno ama fare la fame o vedersi ammazzati i figli.
Che è poi la ragione per cui i russi non rimediano alla carenza di soldati chiamando all’obbligatorietà del servizio militare. Ma, secondo tradizione, dall’impero zarista a quello comunista, all’opinione pubblica interna forniscono due medicine: l’esaltazione nazionalista e la repressione.
In Russia, però, tengono molto alla nostra opinione pubblica, investendovi denari e usando i propri servitori, che generosamente furono chiamati “utili idioti”. Certo che la guerra è una brutta cosa e certo che la carenza di gas e i suoi prezzi elevati comportano dolori profondi e disagi sociali su cui speculare.
E certo che nel nostro mondo non solo si vive liberi, ma anche comodamente. Certo che ci teniamo, alle comodità. Giustamente. Ma sono figlie della libertà, non loro nemiche. Perché mai la Russia non ha mai avuto il nostro sviluppo? Come mai un Paese da 140 milioni di abitanti ha un prodotto interno lordo inferiore al nostro, che di abitanti ne abbiamo meno di 60 milioni? Perché senza la libertà non c’è iniziativa e senza iniziativa non c’è ricchezza. Requisita da gerarchi e oligarchi, ladri e arricchiti.
Sono queste le ragioni per cui in Russia lanciano appelli al tenore di vita degli europei, infinitamente più alto di quello dei russi. Non sono i poveri che si preoccupano dei ricchi, ma il nemico che ritiene la libertà sia una debolezza, sperando di sfruttarla. A Mosca sono convinti che crolleremo prima noi, perché le bollette alte faranno esplodere le piazze. Noi siamo certi che crolleranno loro, anche perché i ladri sono rimasti senza bottino.
Ciò non toglie che dobbiamo rimediare ai guasti interni al nostro mondo, difatti sono già stati mobilitati tanti soldi, altri lo saranno, con altre importanti contromisure. Siccome, però, fra i putiniani ve ne sono molti che invocano uno “scudo europeo”, sarà bene essere chiari. La proposta italiana, risalente al marzo scorso, del tetto al prezzo del gas russo, ha come fondamento l’uso del potere dell’acquirente.
C’è quello del venditore, ma se compri molto anche dall’altra parte c’è del potere. Immaginare un acquirente europeo unico, come si è fatto e ha funzionato benissimo con i vaccini, ha lo stesso fondamento: assieme pesiamo molto di più ed evitiamo di farci concorrenza fra noi.
Questo, però, comporta due cose:
- si introducono regole che limitano il libero mercato;
- si trasferiscono potere e sovranità a livello europeo.
Entrambe le cose comportano l’accettazione di vincoli: una politica solidale e di reciproco soccorso e il sottostare alle regole che l’acquirente unico si darà (o al prezzo massimo stabilito). Chi chiede queste cose, quindi, sta chiedendo più vincoli europei, in cambio di più forza per negoziare e resistere. Scelta razionale.
Ma anche l’opposto di volere togliere potere ai “burocrati di Bruxelles” (molti, ma molti meno dei soli italiani), o di anteporre i propri interessi a quelli degli altri. Chiedere lo scudo europeo e, al contempo, reclamare la violazione dei vincoli economici, poi, non è neanche un’incoerenza, è un imbroglio.
Noi amanti della libertà plaudiamo a queste iniziative, pur non dimenticandoci che il mercato deve essere regolato, non ingabbiato. Gli amanti di Putin, invece, devono essere riconosciuti come alfieri dei risultati cui porta quell’amore: miseria e repressione. Basterà averlo chiaro e non saranno certo le nostre affluenti opinioni pubbliche a volere nulla di simile. Semmai ci scopriremo più energici nell’avversarlo.