“Dieci anni sono troppi nel processo Ruby-ter. Così giustizia ingiusta” intervista a Sabino Cassese su Il Giornale

“Dieci anni sono troppi nel processo Ruby-ter. Così giustizia ingiusta” intervista a Sabino Cassese su Il Giornale

Il Professor Sabino Cassese intervistato da Il Giornale: “Votare Sì ai cinque referendum in attesa che intervenga il Parlamento”

Il professor Sabino Cassese, presidente emerito della Corte Costituzionale, a tutto campo sul sistema Giustizia. La maggioranza degli italiani – dice il rapporto Eurispes – non crede nella Giustizia.

«Stephen Breyer, nel suo ultimo libro, pubblicato dall’Harvard University Press all’inizio di quest’anno, ha osservato che la fiducia dei cittadini nella giustizia è un elemento fondamentale dell’ordine giudiziario. Breyer è stato per quasi trent’anni giudice della Corte Suprema americana ed è uno dei più grandi giuristi di quel paese. Se la giustizia italiana non è in consonanza con il Paese, com’è dimostrato da questi dati, ma anche da tutti gli altri libri recenti sulla giustizia italiana, ci si deve preoccupare.

Dei tanti libri critici usciti di recente, ne ricordo soltanto due: quello di Gerardo Villanacci, intitolato Giustizia cinica, contraddizioni, stereotipi e problemi del sistema giudiziario italiano (Pendragon, 2022) e quello di Vittorio Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo (il Mulino, 2022). Sono due piccoli ma densissimi libri dai quali emergono tutti i guai della giustizia italiana e il malessere della società per una giustizia così poco giusta».

Lei ha detto alla Stampa che voterà 5 Sì al referendum.

«Io ho detto che bisognerà recarsi alle urne, perché partecipare alle votazioni, sia per la scelta dei parlamentari, sia per partecipare ai referendum, è un dovere civico. E che bisognerà votare Sì per tutti quei quesiti sui quali il Parlamento non avrà nel frattempo preso una decisione. In altre parole, ritengo che la materia della giustizia sia tanto complessa da richiedere un intervento parlamentare. Tuttavia, se il Parlamento non riesce a decidere, occorrerà che decidano gli elettori direttamente attraverso il referendum».

La consapevolezza del problema aumenta?

«La spiegazione sta proprio in quello che ho appena osservato. I referendum sono necessariamente strumenti che tendono a semplificare, perché si può solamente esprimere una scelta positiva o negativa. Quindi, lo strumento principale per la riforma della giustizia sta nella modifica della legislazione. Tuttavia, il referendum può agire come uno strumento sollecitatore o sostitutivo. Sollecitatore, nel senso di stimolare il Parlamento a decidere. Sostitutivo nel senso di lasciare ai votanti la decisione, se questa non è stata presa dal Parlamento».

Draghi ha detto che una riforma serve anche ai magistrati.

«Lei mette in luce un aspetto che riguarda proprio le contraddizioni all’interno del corpo dei magistrati. Tra questi la maggioranza è fatta di persone di grande livello intellettuale, robusta preparazione giuridica, grandi capacità tecniche. Tuttavia, da un lato vi è una minoranza attiva particolarmente loquace, dall’altro la stessa maggioranza non si è preoccupata di far valere gli argomenti del realismo e della ragionevolezza nel modificare l’attuale stato della giustizia.

Mi riferisco alla distribuzione territoriale delle corti, alla distribuzione del personale tra gli uffici, all’ordinamento dei processo civile e di quello penale, ai gradi di giudizio, ai necessari filtri per evitare l’attuale stato di intasamento della giustizia, ai controlli delle performance, alla corrispondenza tra criteri e requisiti di selezione e compiti che devono essere svolti dai magistrati, ai limiti necessari allo svolgimento di funzioni che non sono quelle dell’accusa e del giudizio, ai limiti indispensabili per assicurare l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura, ai criteri di funzionamento del Csm. Da un’analisi di tutti questi temi discendono decisioni importanti, come quella della separazione delle carriere, quella del divieto di svolgimento di attività politica, quella dei criteri di assegnazione, di trasferimento, di promozione e di irrogazione delle sanzioni disciplinari nei riguardi dei magistrati, e tutti gli altri temi che sono ora all’ordine del giorno».

La riforma Cartabia non soddisfa tutti.

«La ministra Cartabia ha svolto un’attività eccellente. Non dimentichiamo che sono già stati approvati almeno tre blocchi di provvedimenti, quelli relativi all’assetto della giustizia civile, quelli relativi alla settore della giustizia penale e quelli relativi alla presunzione di innocenza. Deve ora essere approvato dal Senato il gruppo delle norme che riguarda carriere e Csm. Le riforme Cartabia non completano certamente il percorso innovatore, ma vanno nella direzione giusta e fanno passi cospicui in tale direzione».

Passiamo al Ruby-Ter. Possibile che dopo dieci anni vadano ancora avanti processo ed indagini?

«Una giustizia in ritardo è una giustizia ingiusta si dice nel mondo anglosassone. Anche considerando la farraginosità dell’ordinamento processuale e l’impegno degli avvocati che possono contribuire ai ritardi nella giustizia, 10 anni sono davvero troppi. Dopo l’accusa, la decisione non dovrebbe intervenire più tardi di un anno».

Intervista di Francesco Boezi su Il Giornale

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