Dall’ILVA ai libri e l’Italia che ha bisogno di più concorrenza

Dall’ILVA ai libri e l’Italia che ha bisogno di più concorrenza

Quando si tratta di concorrenza, con i governi italiani sembra sempre di giocare al Lotto: non si sa mai cosa può succedere. Ignorata dai più, il 4 febbraio è infatti partita una lettera indirizzata dal Mise al commissario europeo alla concorrenza Vestager, che aderisce a quella firmata dai colleghi ministri francese, tedesco e polacco il 4 luglio. La missiva contiene un incoraggiamento a “modernizzare” la normativa antitrust europea, prendendo atto che il contesto competitivo mondiale è cambiato e le imprese europee devono essere lasciate un po’ più libere di fondersi e cooperare tra loro. Lasciamo perdere il merito della questione: ciò che risalta sono le severe parole contro le interferenze e gli aiuti statali che permettono ai concorrenti degli europei (in buona sostanza i cinesi) di distorcere il mercato, di renderlo iniquo e non permettere che tutti giochino secondo le stesse regole. Ci sono società che “che beneficiamo di un sostanzioso supporto statale o di mercati domestici protetti” e questo ha delle conseguenze rispetto a un mercato equo e senza distorsioni e apre a dei “comportamenti abusivi” da parte di questi sussidiati colossi extraeuropei a svantaggio dei consumatori e dei concorrenti. Benissimo, si argomenta dunque che le imprese protette, sovvenzionate, assistite sono dannose: non ci resta che vedere applicati i medesimi principi ad Alitalia, Ilva (e ai relativi piani di nazionalizzazione strisciante in atto), la fantomatica Banca del Sud, le autostrade e tutte le varie ipotesi in cui vengono invocate nazionalizzazioni e finanziamenti pubblici. Però ci sono altri modi per intervenire a sproposito ed andarne pure orgogliosi. Ne è un esempio la legge sulla vendita dei libri appena approvata che, oltre a tutta una serie di grandiose dichiarazioni di intenti per diffondere la lettura in Italia, pone un limite agli sconti applicabili dagli esercenti (comprese le piattaforme online) sul prezzo di copertina: massimo 5% al posto dell’attuale 15%. Le disposizioni sono dettagliatissime quanto surreali: il Ministero deciderà i mesi in cui sono possibili le promozioni al 15% da parte delle librerie e quando quelle al 20% degli editori e solo per libri pubblicati da almeno 6 mesi. Naturalmente, tenendo i prezzi alti, per una banalissima applicazione della legge della domanda e dell’offerta, si disincentiva l’acquisto dei libri, soprattutto da parte dei lettori occasionali. Gli effetti della prima introduzione nel 2011 del limite del 15% nel 2011 parlano chiaro: meno lettori e meno acquirenti. E, a 8 anni di distanza, ci sono stati nel 2019, un anno “buono” rispetto al 2018, ancora 9 milioni di libri venduti in meno rispetto al 2011 nonostante i mitici bonus per i 18enni di Renzi. Insomma, finora l’editto sui prezzi che fallì con Diocleziano non ha funzionato nemmeno coi libri e cosa fa il governo? Inasprisce la misura sperando -si immagina- di far contenti gli elettori librai che erroneamente credono che le loro disgrazie vengano dai bassi prezzi praticati da Amazon e non dal nuovo modo di approvvigionarsi di strumenti di lettura. Senza contare che, se si apre una piattaforma di vendita all’estero, a Capodistria o a Innsbruck, si potranno applicare gli sconti che si vogliono perché la legge italiana non è extraterritoriale. La concorrenza e l’efficienza economica non sono proprio nelle corde dei nostri politici: avrebbero dovuto leggersi qualche libro a prezzo scontato, chissà.

La Stampa, 9 Febbraio 2020, pag. 21

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