Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari ha registrato un’ampia vittoria del “sì”. Deputati e senatori scenderanno dalla prossima legislatura dai 945 attuali ai 600 voluti dalla riforma.
Indipendentemente da come la si pensi, la modifica degli assetti costituzionali richiederà altri interventi per garantire da un lato il corretto funzionamento del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, dall’altro la democraticità del sistema istituzionale italiano.
Ridefinizione dei collegi elettorali, nuova legge elettorale, modifica dei regolamenti delle commissioni parlamentari. Sono alcune delle riforme che anche chi ha proposto il taglio confermato ieri ha promesso.
Per capire come si possa tentare di riequilibrare il vulnus che la Costituzione ha subìto per effetto della riforma, abbiamo intervistato il costituzionalista Enzo Palumbo, ex senatore liberale, ex membro del Csm ed esponente della Fondazione Luigi Einaudi.
Riforme: cosa serve per ripristinare gli equilibri costituzionali
“Una delle leggende metropolitane che si sono diffuse in questi due mesi di campagna elettorale – osserva Palumbo ai nostri microfoni – è che questa fosse una riforma puntuale. La verità è che è una riforma assolutamente parziale e disorganica”.
Le norme che ora dovranno essere messe in linea con gli effetti della riforma, infatti, sono tantissime e riguardano leggi costituzionali, leggi ordinarie come quella elettorale, ma anche i regolamenti delle Camere.
Il primo punto su cui il costituzionalista insiste è quello dell’elezione del presidente della Repubblica, che attualmente prevede un plenum di 945 parlamentari e 58 delegati regionali, tre per ogni regione ad eccezione della Valle d’Aosta. Il peso di quest’ultimi nell’elezione del capo dello Stato con i numeri attuali è attorno al 6%, mentre salirebbe al 9% con un Parlamento decurtato. Sarà quindi necessario ridurne il numero, ma la Costituzione prescrive il rispetto delle minoranze.
“Se i delegati scenderanno da tre a due per ogni regione – osserva Palumbo – o non si rispetteranno le minoranze, assegnandoli entrambi alla maggioranza, o non si rispetteranno le maggioranze”.
Il secondo punto è quello della rappresentanza, tante volte evocato. “Con questa riduzione dei parlamentari ci saranno alcune regioni in cui la soglia per eleggere un senatore sarà altissima. Oggi in alcune regioni è attorno al 20%, mentre arriverà al 50% – osserva Palumbo – Quindi sarà rappresentato solo il primo e al massimo il secondo partito”.
La proposta in discussione è quella della riorganizzazione dei collegi elettorali con l’accorpamento di alcune regioni ma, avverte il costituzionalista, mentre ora il criterio è geografico e territoriale, una riforma in questo senso sarà determinata solo dalla volontà del legislatore, che effettuerà gli accorpamenti che risulteranno più convenienti.
Connessa al punto precedente c’è la questione della legge elettorale, che è una legge ordinaria. La modifica dell’attuale legge elettorale è stata depositata: si tratta del cosiddetto Brescellum, che però non ottiene il consenso delle forze politiche, dal momento che buona parte dei partiti vorrebbe il maggioritario, mentre a volere il proporzionale resta solo il M5S e i gruppi più piccoli, con uno sbarramento molto alto che li terrebbe fuori dal Senato, difficilmente farebbero passare una legge di questo tipo.
Altre questioni riguardano i regolamenti di Camera e Senato. Anzitutto quello che stabilisce un numero di parlamentari minimo per formare un gruppo parlamentare. Attualmente a Montecitorio servono 20 deputati e a Palazzo Madama servono 10 senatori. Numeri che devono essere abbassati, altrimenti le minoranze non vedrebbero la possibilità di formare un gruppo parlamentare. A decidere questo abbassamento, però, saranno le forze di maggioranza.
Stesso discorso vale per le commissioni, che da Costituzione sono 14 per la Camera e 14 per il Senato. “La Costituzione, all’articolo 72, afferma che le commissioni parlamentari debbano essere formate proporzionalmente ai gruppi presenti nei plenum – osserva Palumbo – Oggi, alla Camera, un deputato può andare soltanto in una commissione. Allora il numero delle commissioni dovrebbe o essere drasticamente ridotto, ma non rispettando la prescrizione costituzionale della rappresentatività di tutti, o accorpando le commissioni, che anziché agevolare il lavoro del Parlamento, complicherà perché ogni commissione si dovrà occupare di più temi diversi”.
Le riforme necessarie, dunque, sono molteplici e, soprattutto per quanto attiene ai criteri di democrazia e rappresentanza, molto dipenderà dal merito e dagli orientamenti che adotteranno le attuali maggioranze parlamentari.
Alessandro Canella