Con Draghi premier ci avrebbero guadagnato sia l’Italia sia la Meloni

Con Draghi premier ci avrebbero guadagnato sia l’Italia sia la Meloni

Se lo scorso 21 luglio il governo Draghi non fosse stato fatto cadere, si sarebbe finito presumibilmente per votare in giugno e, data la balcanizzazione del centrosinistra, il centrodestra avrebbe comunque vinto le elezioni. Al governo, oggi, ci sarebbe sempre Giorgia Meloni. Ma quale Giorgia Meloni e in quale Italia?

Bisogna innanzitutto con onestà intellettuale ammettere che le cose sono andate meglio del previsto. Molto meglio del previsto. Tanto per cominciare, la recessione che la scorsa estate le maggiori autorità economiche e finanziarie nazionali e internazionali annunciavano come scontata fortunatamente in autunno non c’è stata. Un dato di fatto non attribuibile al merito di nessuno, ma che di sicuro ha semplificato il compito di chi ha assunto la responsabilità del governo.

Non è bastato questo, naturalmente, ad impedire che fossero sin dalle prime ore della legislatura confermate negli inciampi del governo sul decreto Rave e nel cedimento della maggioranza parlamentare sull’elezione della seconda carica dello Stato le due critiche di fondo rivolte al centrodestra in campagna elettorale: la debolezza della classe dirigente meloniana e la mancanza di unità politica della coalizione. Limiti che danno tutt’ora i loro amari frutti. Ma quella che, soprattutto in tempo di “guerra”, poteva essere una tragedia si è rivelata più che altro una commedia. Folklore, o poco più. Come i distinguo di Matteo Salvini e di, pace all’anima sua, Silvio Berlusconi sull’Ucraina.

Un folklore che ha accresciuto e consolidato l’immagine di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio affidabile. Affidabile soprattutto perché graniticamente atlantista e sorprendentemente europeista. Molto istituzionale, praticamente draghiana. Ed è questo che, in tale misura, non era davvero prevedibile. Non da parte di un leader politico che aveva trascorso gli ultimi 10 anni a dir male dell’Europa e che aveva sdegnosamente rifiutato di sostenere il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi.

E invece… Invece appaiono in perfetta continuità con il governo Draghi i rapporti istituzionali di Roma con Bruxelles, la vendita di Ita, la delega fiscale, il superamento del reddito di cittadinanza, quello del superbonus edilizio, le misure sul pos, le politiche sull’immigrazione… oltre che, da Bankitalia all’Agenzia delle Entrate, quasi tutte le nomine pubbliche più importanti.

Viene allora da pensare, senza con questo voler offendere nessuno, che con l’originale all’Italia sarebbe andata anche meglio. Se negli ultimi dieci mesi capo del governo fosse stato Mario Draghi è lecito supporre che avremmo impostato e negoziato meglio il Pnrr con Bruxelles, che saremmo rimasti nel gruppo di testa sull’Ucraina con Francia e Germania, che avremmo assunto un ruolo di leadership sia nel vitale confronto europeo in atto per la riforma del Patto di stabilità sia in quello per la rimodulazione del regolamento di Dublino sull’immigrazione e più in generale nel processo di riforma della governance europea. Detta in firma di slogan: più risorse, meno immigrati, maggiore sicurezza, maggiore autorevolezza internazionale dell’Italia, maggiore attrattività degli investimenti stranieri, maggiore efficacia ed efficienza dell’Europa in quanto tale.

Anche per Giorgia Meloni sarebbe stato probabilmente meglio. Avrebbe avuto il tempo per maturare un’identità politica più solida, per darsi una visione di governo più realista, per rendere credibile fino in fondo la propria conversione dalla logia dell’anti (anti Europa, anti migranti, anti trivelle, anti mercato…) alla logica del pro. Avrebbe potuto lavorare, con l’aiuto di un qualche professor Fisichella, a quella transizione liberale della Destra che ad oggi rischia di essere un’incompiuta. Avrebbe preso in carico un’Italia più stabile e più forte. Dunque più governabile.

Insomma, se Mario Draghi non fosse stato sconsideratamente fatto cadere dall’inconsapevole Conte e dai consapevoli Salvini e Berlusconi, a guadagnarci sarebbero stati sia l’Italia sia Giorgia Meloni. Dunque il centrodestra. Perciò, pur ammettendo che le sono andate molto, ma molto meglio del previsto, non mi pento di essere stato l’unico senatore del centrodestra ad intervenire lo scorso 21 luglio in aula per confermare la fiducia a Mario Draghi.

 

Huffington Post

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