Chiuderli

Chiuderli

Ciò che quei garanti garantiscono non è quel che sembrerebbe garantito dalla denominazione, sicché la sola garanzia di serietà che può essere offerta è chiuderli.

L’insegna recita: «Garante per la protezione dei dati personali». Quella più in voga è freudianamente anglofona: Authority per la privacy. L’indipendenza di queste Autorità (mica solo questa) è credibile soltanto con il trattino, ma la divisione dei commissari per appartenenza politica è iscritta nelle modalità della loro nomina. Quel che colpisce non è la lottizzazione, ma il fatto che una volta nominati pedalino su cyclette senza ruote eppure riescano a cadere.

Ora sono all’onore delle cronache per non avere garantito manco la propria privacy, per i pellegrinaggi presso i padrini politici, per l’avere avvertito preventivamente di decisioni che si sarebbero prese e per altre facezie. Ma questi sono gli aspetti umanamente toccanti. Quello strutturale, ovvero l’inutilità, spiega il perché provino a rendersi utili almeno a sé stessi e a chi li locupletò.

L’Autorità per la riservatezza dei dati fu creata nel 1996, voluta e poi guidata da quel fine giurista che era Stefano Rodotà. Nel suo poderoso curriculum aveva anche l’essere un ex parlamentare, ex capo di partito e quindi circondato da ex colleghi che desideravano si dedicasse ad altro. In primis al suo terribile diritto. Fu così che entrammo nell’era della riservatezza garantita, la cui prima manifestazione furono risme di moduli bancari aggiuntivi da firmare. La sfida era duplice: alle foreste, per la produzione della carta, e all’oculistica, per la lettura del corpo minuscolo. Alle foreste penseranno i posteri, per la lettura la soluzione fu semplice: nessuno ha mai letto quel che gli chiedevano di firmare. Più riservati di così si muore. Dopo le banche seguirono tutti e anche al supermercato ti chiedono di sottoscrivere il modulo per il trattamento dei tuoi dati personali. A tutti è stato riservato equanime trattamento: firmi senza leggere. Devo alla cortesia di un ex presidente dell’Autorità un interessante incontro, cui mi invitò dopo che, anni addietro, avevo sostenuto che si poteva chiuderli: condividemmo la mattinata, parlammo di tutto e pur mettendocisi d’impegno non riuscì a lasciarmi traccia dell’utile lavoro che stavano svolgendo.

Ammetto che ero prevenuto giacché anni prima avevo ingaggiato (e perso) battaglia per provare a far capire che era inutilissimo creare delle Autorità e chiamarle Authority sperando così di replicare l’esempio inglese, per la semplice ragione che da noi le loro decisioni sono atti amministrativi, sempre ricorribili al Tar. Il che avrebbe ammazzato nella culla tutti i tentativi di creare roba come quella che Margaret Thatcher aveva creato nelle telecomunicazioni inglesi. Amen, l’amore per l’Authority generò un formicaio di Authorities, alimentando alla grande il lavoro della giustizia amministrativa.

Quella della privacy non è solo inutile, ma anche disgraziata: posa il vigile occhio su come viene gestito l’elenco dei soci al club del tennis e se le comunicazioni loro dirette sono avallate da apposita liberatoria, nel frattempo tutti – loro compresi – girano con terminali capaci di tracciare ogni spostamento, messaggio, ricerca, debolezza o passione: delle vere idrovore di dati personali che i diretti interessati autorizzano cliccando infastiditi il tasto che prelude all’aprirsi di quel che preme. Dati che vengono messi a disposizione di chiunque paghi tranne che del loro proprietario, che diede il proprio disinformato benestare.

Problemi cui si deve sicuramente porre rimedio, ma non certo nominando garanti a fallimento garantito, esperti in geografia dei siti politici romani e consapevoli che i siti dove la refurtiva dei dati viene consegnata s’allocano fuori dalla loro giurisdizione.

Surreale, infine, che ad accanirsi contro il loro peccato minore – l’essere lottizzati – sia una trasmissione mandata in onda dalle antenne Rai. Le più blasonate, antiche e certificate avanguardie della lottizzazione.

La Lomellina

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