Candidarsi e svignarsela. Il nuovo gioco di destra e sinistra: chi perde, fugge

Candidarsi e svignarsela. Il nuovo gioco di destra e sinistra: chi perde, fugge

Enrico Michetti, Catello Maresca, Fabio Battistini: chi erano costoro? Occorre un notevole sforzo di memoria per ricordare il nome degli uomini che il centrodestra candidò alla carica di sindaco di Roma, di Napoli e di Bologna alle elezioni amministrative del 2021. Occorre un certo sforzo di memoria non solo perché si trattava di personalità provenienti dalla società civile, ma soprattutto perché nella società civile si sono immediatamente rifugiati una volta perse le elezioni. Non uno, tra loro è rimasto in consiglio comunale. Non uno ha pensato di mettersi a capo dell’opposizione. Né, a dirla tutta, questo ruolo gli è stato offerto dai partiti che li sostenevano.

Un malcostume, o, meglio, un errore di strategia politica, largamente diffuso ed effettivamente trasversale. Al di là del fatto che la loro candidatura ha di per sé vanificato la volontà degli elettori che appena due anni fa li avevano votati affinché li rappresentassero al Parlamento europeo, sbocco analogo ha rappresentato la parabola politica di Matteo Ricci e Pasquale Tridico. Il primo è stato candidato dal Pd come governatore delle Marche in rappresentanza dell’intero Campo largo, il secondo è stato candidato come governatore della Calabria dal Movimento 5stelle: entrambi hanno perso, entrambi torneranno da dove sono venuti.

Eppure, così come i candidati sindaco del centrodestra, sia Ricci sia Tridico si sono presentati ai rispettivi elettorati con un programma politico che nella retorica di ciascuno avrebbe cambiato il destino sia dei cittadini sia dei territori che ambivano governare. Un programma evidentemente scritto sulla sabbia. Così non fosse, gli sconfitti ora trascinerebbero le opposizioni alle giunte vittoriose guidati dalla bussola dei propri intenti riformatori. Invece, no: se la sono svignata e dei loro buoni propositi elettorali non è rimasta traccia alcuna né alcuna eco sulla scena politica.

Passa, così, l’idea che in politica a contare sia solo la vittoria. Passa l’idea che il lavoro delle opposizioni non richieda un coordinamento né una bussola programmatico-valoriale. Passa l’idea che i candidati a cariche monocratiche siano scelti più o meno casualmente in base alle contingenze del momento e che se perdono il treno che avrebbe dovuto condurli al successo di loro si possono perdere anche le tracce.

Un grave errore di prospettiva. La politica, infatti, quando è tale, richiede un lavoro costante e metodico che può e deve essere esercitato non solo quando si milita nei ranghi della maggioranza ma anche e soprattutto quando ci si ritrova nei ranghi dell’opposizione. Un lavoro che, se svolto con capacità e visione, servirebbe a creare le condizioni per la vittoria la volta successiva. Invece, niente. Una volta subita la sconfitta, le coalizioni si sfasciano, i candidati si perdono, i territori si svuotano. Nessuno costruisce più nulla, nessuno pensa al futuro, nessuno osa impostare il conflitto con le neonate maggioranze di governo sulla base di programmi elettorali di cui si è persa anche la memoria. Sì che, invece di costruire una rete di relazioni sociali e politiche funzionali alle sfide del quinquennio successivo, la politica entra in sonno e tutto si riduce a piccoli show polemici quotidianamente messi in scena da singoli esponenti di questo o di quel partito di opposizione. Salvo poi ritrovarsi a ridosso delle elezioni successive senza un candidato, senza una base sociale e soprattutto senza una politica.

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