Brexit docet

Brexit docet

Quel che succede nel Regno Unito (UK) è istruttivo. Cittadini e forze politiche del mondo democratico farebbero bene a rifletterci attentamente. Non mi riferisco solo al merito della questione, alla convenienza o meno di uscire dall’Unione europea, che è faccenda certamente importante, ma non la sola. Mi riferisco all’essenza stessa della democrazia, che è questione di regole, ma anche di costumi morali, culturali e sociali.

Un governo chiama un referendum su una determinata questione (astraiamoci da Brexit), annunciando la propria posizione (in quel caso il Remain), dopo avere vinto le elezioni legislative e disponendo di una maggioranza parlamentare. Potrebbe decidere da sé, ma preferisce consultare gli elettori. I quali, però, dopo averlo votato, gli danno torto e votano diversamente (in quel caso Leave). Il governo (Cameron) correttamente si dimette. Ma la maggioranza resta la stessa, sicché ne nasce un altro, retto dal medesimo partito (in coalizione, dopo elezioni in cui perde la maggioranza autonoma) e con diverso capo (May). Il nuovo aveva fatto campagna contro la posizione del precedente governo? No, anche perché ne faceva parte. Prima lezione: la democrazia non consiste nell’adattare le proprie idee a quelle della maggioranza degli elettori, ma nel presentare idee e sapere che a decidere saranno gli elettori. Se ti bocciano non puoi governare il contrario di quel che avevi proposto. Il trasformismo porta male.

Dovendo dare applicazione al risultato referendario ci si accorge che è difficilissimo, se non impossibile. Perché? È la seconda lezione: non puoi chiedere agli elettori di scegliere fra due possibilità quando invece sono più di due e, comunque, senza che siano chiare le conseguenze. La democrazia non è urnocrazia. Presuppone responsabilità. Per tutti.

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