Accordo USA-Ucraina sulle terre rare: Pechino ne esce immune

Accordo USA-Ucraina sulle terre rare: Pechino ne esce immune

Gli Stati Uniti sono il secondo produttore al mondo di terre rare. Ciononostante, il Paese ne importa il 95% del proprio fabbisogno, il cui 70% giunge dalla Cina. Il quadro, a dispetto dell’accordo appena siglato con l’Ucraina e delle dichiarazioni del Presidente Trump, è destinato a rimanere inalterato ancora a lungo. Indiscutibile testimonianza di un concreto cambio di passo nelle relazioni diplomatiche tra Washington e Kiev, l’intesa per l’istituzione dello “United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund” ha tuttavia suscitato la perplessità degli analisti circa la sua efficacia di ridurre l’esposizione americana al rischio di un blocco cinese nelle forniture di terre rare, quanto meno nel breve periodo. A pesare, l’incertezza sulla concreta disponibilità dei materiali in questione nel sottosuolo ucraino.

La Cina, ad oggi, ne detiene il primato per ampio distacco, con una produzione che si attesta a più dei due terzi di quella globale. Un rubinetto, quello di Pechino, che fornisce una leva di trattativa non indifferente nelle crescenti tensioni commerciali e diplomatiche con Washington, e che la Casa Bianca teme possa chiudersi in qualsiasi momento: una vulnerabilità allarmante, che vede il secondo consumatore mondiale di terre rare completamente dipendente dalla supply chain cinese. In siffatto scenario, aziende statunitensi della portata di Lockheed Martin, Apple e Tesla sarebbero di fatto incapaci di operare. Tre nomi tutt’altro che casuali, trattandosi delle imprese leader nei settori in cui l’impiego di terre rare assurge a un ruolo imprescindibile: la difesa, l’informatica e l’automotive elettrico.

Il patto USA-Ucraina si estende a diversi settori strategici, tra cui le più classiche risorse minerarie ed energetiche, ma la sua valenza in un piano di emancipazione dalle catene di approvvigionamento cinesi appare minata da un dato innegabile: allo stato attuale, l’estrazione di terre rare in Ucraina è pari a zero e, per la stima delle effettive quantità presenti nel sottosuolo del Paese, il Governo di Kiev rimanda a uno studio contenente rilievi d’epoca sovietica, di dubbia attendibilità. Di contro, nel recente studio di riferimento di parte americana, l’Ucraina non figura nemmeno tra i Paesi con grandi giacimenti accertati.

A complicare il quadro, molti dei presunti giacimenti si trovano comunque in territori occupati dalla Russia. Il think tank We Build Ukraine, infatti, stima che la quantità di risorse afferenti alla più ampia categoria dei metalli che giace nelle zone occupate rappresenti il 40% circa del totale. Inoltre, la totale assenza di infrastrutture produttive potrebbe rendere economicamente non proficuo l’avvio da zero di nuove attività estrattive, che comportano investimenti ingenti e a rischio elevato, soprattutto in un Paese ancora impegnato nel conflitto armato e di cui sarebbe necessario prima ricostruire anche le reti di trasporto.

Discorso differente per le materie prime critiche, di cui le ben più ricercate terre rare sono solo un ristretto sottoinsieme: una differenza apparentemente sottile, ma su cui si gioca l’intera partita geopolitica. Delle prime, il sottosuolo ucraino ne è effettivamente ricco; tuttavia, anche qui, la produzione industriale è trascurabile o avviene in territori passati al controllo di Mosca. Ne è emblema il litio, di cui il Paese detiene un terzo di tutte le riserve conosciute in Europa, ma che rappresenta l’ennesima nota dolente: materiale cruciale per la produzione di batterie di veicoli elettrici e dispositivi elettronici di ogni genere, ha un’attività estrattiva assolutamente inesistente, minata anche da un sistema di rilascio di licenze particolarmente lento e inefficiente. Tra il 2012 e il 2020, infatti, il Paese ne ha concesse solo 26, di cui appena una per l’oro e per il rame.

Per quanto riguarda la dimensione economica dell’accordo raggiunto tra Trump e Zelensky, il Presidente americano si è limitato a menzionare un ritorno “ben superiore” ai 350 miliardi di dollari in sostegno militare elargiti dagli USA a Kiev. Il valore specifico attribuito alle sole terre rare, per le ragioni menzionate, è stato oggetto di trattative e speculazioni, con una cifra di riferimento di 500 miliardi di dollari: stima altamente speculativa e non supportata da dati certi. Per termini finanziari più dettagliati, le parti devono ancora definire un accordo operativo. Nel 2024, l’Ucraina ha incassato circa 1 miliardo di dollari in proventi dalla più ampia categoria delle risorse naturali, ma i ricavi destinati al nuovo fondo di investimento istituito con l’accordo saranno generati unicamente da licenze, royalties e accordi di produzione futuri.

“Se qualcuno pensa che all’improvviso tutti questi minerali inizieranno a piovere dall’Ucraina, sta sognando”, chiosa Alex Webb di Benchmark Minerals Intelligence, ascoltato da Reuters. Di fatti, lo sviluppo di nuove miniere in contesti stabili e dalla filiera industriale avviata, come Canada e Australia, può richiedere tra i dieci e i venti anni. In Ucraina, è altamente probabile che il periodo necessario si allunghi sensibilmente. Nel frattempo, Pechino gongola: almeno per i decenni a venire, infatti, l’egemonia cinese non appare minimamente messa in discussione.

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