Per qualcuno sarà una buona novella, per altri una cattiva notizia. Dal 2026, il 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi – tornerà ad essere una giornata di festività nazionale. Scuole chiuse, uffici serrati, busta paga maggiorata per chi lavora quel giorno. Una nuova “giornata rossa” nel calendario Gregoriano.
C’é una certa ironia nella storia. Nel 1977, la legge 5 marzo 1977 n. 54 cancellò proprio questa festività, insieme ad altre, per contenere i costi di un’Italia già allora in difficoltà economica e sociale. Quasi mezzo secolo fa si tagliava per far quadrare i conti. Oggi, in un Paese che dovrebbe lavorare di più e crescere di più, la si reintroduce.
La proposta è arrivata da Noi Moderati e Fratelli d’Italia, e subito appoggiata da Forza Italia e Lega. Il testo è stato discusso e approvato alla Camera, dove non sono mancati interventi entusiasti: da Maurizio Lupi a Tommaso Foti, da Paolo Barelli a Riccardo Molinari.
Ogni festività nazionale ha un costo: per i dipendenti pubblici impegnati a garantire servizi essenziali, lo Stato dovrà sborsare 10,6milioni di euro l’anno dal 2027 (8,7milioni solo per il personale sanitario, 1,8milioni per Forze dell’Ordine, Polizia e Vigili del Fuoco). Ai costi pubblici si devono aggiungere anche quelli privati, perché le aziende si troveranno a pagare maggiorazioni in busta paga o a gestire una giornata di stop produttivo.
Nel frattempo, fuori dai nostri confini, si discute di ridurre i giorni di festa. La Francia, poche settimane fa, prima della caduta del governo guidato da François Bayrou, aveva persino ipotizzato di tagliarne due. Il nuovo premier Sébastien Lecornu ha poi fatto marcia indietro, ma il segnale resta: il tema è sensibile, e riguarda il bilancio complessivo di un Paese.
Da noi, invece, si preferisce colorare di rosso un’altra casella del taccuino. E’ un’operazione popolare, certamente, ma anche un segnale di leggerezza politica tanto che quando servirebbe discutere di come rilanciare lavoro, occupazione e produttività, si sceglie di regalare un giorno di vacanza.
Il problema è che l’Italia non è nelle condizioni di concedersi questo lusso, considerando che, secondo i dati Eurostat, le ore lavorate per addetto nel 2023 sono in media 1.559 annue, contro le 1.794 della Grecia, le 1.691 della Spagna e le 1.804 della Polonia; la produttività del lavoro, misurata come Prodotto interno lordo per ora lavorata, è circa il 17% inferiore alla media dell’area euro; e il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni è al 66%, rispetto al 76% della media UE e all’81% della Germania.
Detta in modo chiaro. Lavoriamo meno, produciamo meno, e coinvolgiamo meno persone nel mercato del lavoro. E’ la combinazione di più elementi che ci rende il fanalino di coda in Europa.
Nessuno discute l’alto valore simbolico di San Francesco: patrono d’Italia, figura universale di pace, uomo che ha predicato fraternità e cura del creato. Ma non serviva un giorno festivo per ricordarlo. Sarebbe bastato celebrarlo con eventi, scuole aperte e iniziative culturali. Trasformare tutto in un giorno festivo significa, invece, trasferire costi su aziende e Stato, in un Paese che ha già un enorme problema di crescita.
In conclusione, la verità è semplice e dura: l’Italia non ha bisogno di nuove feste, ma di più lavoro. Lontani dalla produttività europea, incapaci di crescere quanto gli altri, continuiamo a scegliere la strada più facile. Non sarà San Francesco a salvarci, se non troviamo la forza e la responsabilità di lavorare di più e meglio.