L’abbandono del diario cartaceo priva i giovani di memoria e competenze cognitive

L’abbandono del diario cartaceo priva i giovani di memoria e competenze cognitive

Non si tratta di nostalgia ma di funzioni cerebrali: la scrittura lenta e manuale stimola aree che la digitazione non raggiunge, formando pensiero strutturato e memoria solida. E mentre la scuola riduce carta e penna, le aziende di diari provano a reinventarsi per non sparire

«Scrivere un diario è catturare fotografie con la matita», ad ascoltare il cabarettista olandese Wim Kan, nei Paesi Bassi, dovevano girare molti fotografi tra i banchi di scuola. Matite, biro o indelebile, tutto quel che capitava a tiro pur di strappare granelli di quotidianità allo scorrere del tempo. Pena la loro stessa esistenza, se non fossero stati impressi su carta. Oggi di apprendisti pronti a scattare istantanee con la mano su quel piccolo taccuino a metà fra promemoria e custode di emozioni ce ne sono un po’ meno. Una fuga dettata dal corrispettivo digitale, i registri elettronici e le comunicazioni via chat, oltre che dalla tendenza alla smaterializzazione dei social network.

Trascurando la vena malinconica con cui spesso si approccia al tema, l’attaccamento alla carta è soprattutto una questione di salute e pieno sviluppo delle potenzialità. Una ricerca condotta dal Policlinico Gemelli in collaborazione con la Fondazione Luigi Einaudi ha evidenziato come la scrittura a mano sia un’operazione più complessa di quel che pensiamo. Quando scriviamo con la penna si attivano diverse aree cerebrali coinvolte nel controllo motorio e nell’elaborazione sensoriale, molte più rispetto a quelle necessarie per digitare del testo in modo ripetitivo, su un supporto informatico.

Dello stesso parere è Raffaella Setti, docente di linguistica italiana presso l’Università degli studi di Firenze e membro dell’Accademia della Crusca. Il nodo è sempre la velocità. Tracciare le lettere a mano, specie se in corsivo, attiva aree del linguaggio che sedimentano la memoria scrittoria e quella logico-testuale. «È così che si formano scriventi esperti con un’abile gestione logico-progettuale di un testo. Certo, spesso a scuola si fanno rielaborare degli estratti di opere letterarie, ma quest’attività richiede più fatica, quindi stimolazione, rispetto alla digitazione», ha chiarito.

Da un po’ di tempo a questa parte gli zaini degli adolescenti sono più leggeri. «Di diari non se ne vedono più alle superiori», è lapidaria Silvia Donati, docente di Storia dell’arte e autrice di “Ok, aprite le gabbie”, una rappresentazione irriverente dell’universo scolastico. E si domanda: «Se i vari Canaletto del passato appuntavano a matita i loro schizzi su dei quadernetti, per poi produrre dipinti eterni, non si sa quali istruzioni fissino i ragazzi dalle lunghe mattinate a scuola né cosa lasceranno ai sè del domani».

Quella di oggi sembra essere una popolazione studentesca più cinica, asettica e dalla memoria corta. Come faranno i quarantenni del domani a ripescare ricordi dall’adolescenza? Di “Bravo” scritti dalla maestra a bordo pagina, scarabocchi dicesi noia creativa fatta inchiostro e frasi motivazionali tradotte da mp3 a caratteri cubitali, sono piene le soffitte. In mezzo a scartoffie indistinte giacciono tante Smemorande, Comix e Cuore. Cimeli ingolfati da dediche e biglietti di concerti, conservati avidamente con graffette e scotch. Tante, troppe, fino a un’apertura di novanta gradi, centottanta per i più sentimentali.

Eppure, qualche segnale in controtendenza c’è. Vuoi perché i produttori di diari hanno deciso di ingegnarsi rincorrendo o alleandosi ai social — Comix ha lanciato quest’anno il suo primo podcast con interviste a personaggi idolo dei ragazzi, ascoltabile tramite Qr code — o perché dall’anno scolastico 2024-2025 il ministro Valditara ha caldeggiato il ritorno del diario cartaceo, almeno per le scuole elementari e medie. Non solo, l’inversione di rotta potrebbe arrivare proprio dalle ultime circolari: il divieto di utilizzare il cellulare durante le ore di lezione, esteso anche alle scuole superiori. Smarrimento, crisi d’astinenza e grida stile “L’urlo” di Edvard Munch. Si prospettano schiere di teenager in cerca di intrattenimento, un bacino pronto a imbracciare di nuovo carta e penna per far fuori quel che resta dell’ora di matematica.

È in mezzo a quel trambusto che fanno capolino gli iconici quadretti della Smemo, ultimi avamposti per giovani pittori su pagina. Anche quest’anno circondati da interviste, stickers o in versione speciale con il contributo di personaggi dal mondo dell’editoria giovanile, della moda e dello spettacolo. Per fare altri esempi, BeYou punta sulle copertine personalizzabili, adesivi e un format che incoraggia la creatività. Scuola Zoo propone due formati, come sempre «ironici e fuori dagli schemi».

Le opzioni fra cui scegliere non mancano e neppure i sintomi di nausea verso uno stile di narrazione ormai evanescente. Anime vintage che riscoprono walkie-talkie e vinili o, più semplicemente, la generazione Z si è accorta che senza un buon back-up le memorie social sono parole al vento. Più effimere di fogli che bruciano. Almeno di quelli rimangono le ceneri.

Linkiesta.it

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