Valgano i medesimi criteri

Valgano i medesimi criteri

Il disegno di legge che introduce il reato di femminicidio

Alcuni giorni fa la Commissione Giustizia del Senato ha approvato il disegno di legge proposto dal governo Meloni per introdurre nel codice penale il reato di femminicidio. Una parte politica lo chiede da tempo ed è libera di chiederlo, non è una novità e di questo non ci stupiamo.

Siamo infatti – credo – tutti d’accordo nel dire che l’omicidio è una realtà da combattere e che il diritto penale ha il compito di intervenire. Tuttavia, nel formulare questa legge, è fondamentale non cadere nell’inganno di creare una normativa a senso unico ovvero che rischi di tradursi in una discriminazione giuridica nei confronti di altre categorie di vittime.

Attenzione, c’è una cosa importante da sapere: il testo dovrebbe essere approvato entro l’estate, prima dal Senato e poi dalla Camera. Ma è bene mettere in conto imprevisti come la conversione del decreto infrastrutture e l’esame del disegno di legge sul fine vita. Restiamo in attesa con fiducia.

Inizialmente il disegno di legge proponeva di introdurre un nuovo articolo nel codice penale (il 557 bis) punendo con l’ergastolo chiunque causi «la morte di una donna per atti di discriminazione od odio verso di lei in quanto donna». Sebbene la proposta fosse intesa a dare una risposta forte e specifica contro la violenza di genere, il problema risiede nel fatto che tale formulazione escludeva qualsivoglia riferimento alle vittime maschili di violenza, ignorando una realtà drammatica che troppo spesso viene messa in ombra.

Suonerà strano, ma anche gli uomini sono vittime di violenza, come confermato ormai da diverse indagini condotte da istituti di ricerca.

Benché in minor misura, pure le donne possono essere responsabili di comportamenti molto gravi, compresi gli omicidi. Questo non significa che gli uomini non debbano essere tutelati dalla legge con le stesse intensità e severità. E non possiamo permetterci di ignorare i dati forniti dal Censis e dalle associazioni che si occupano di uomini maltrattati: ogni anno 4mila uomini sono vittime di violenza, ma solo una piccola parte di questi crimini viene denunciata. Le vittime non si rivolgono alle Forze dell’ordine per paura di non essere creduti o per vergogna di essere giudicati in modo negativo dalla società. La questione della denuncia è importante: se l’omertà femminile nelle violenze domestiche è ormai ben conosciuta, lo stesso – se non di più – vale per gli uomini.

In ogni modo, sebbene il disegno di legge sia stato modificato dai senatori Giulia Bongiorno e Susanna Donatella Campione, non cambia l’impostazione originaria: la differenza tra la proposta iniziale e la riformulazione del reato di femminicidio riguarda la definizione del crimine. Se la versione iniziale era troppo generica, poiché indicava motivazioni quali «odio» o «repressione dei diritti», la riformulazione specifica invece motivi più concreti come «controllo», «possesso», «dominio» o la limitazione delle libertà individuali della donna. Questo rende la legge più chiara e applicabile in modo pratico, ma non cambia l’orientamento di fondo, che seguita a concentrarsi esclusivamente sulla violenza contro le donne senza includere quella contro gli uomini.

Che si tratti di femminicidio oppure di un uomo assassinato, il reato dev’essere trattato con la stessa severità. Fa specie che nessun politico si sia ancora fatto portavoce di una proposta che tuteli anche gli uomini vittime di violenza. Chissà, forse i maschi del nostro Parlamento hanno paura di essere derisi.

La Lomellina

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