Zes

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Di Zes (Zona economica speciale) nel Meridione ne esistono già 8: 6 regionali e 2 interregionali. Buona l’idea di farne una sola per l’intera area (comprendente Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna), ma non è ancora stata varata. Il ministro Raffaele Fitto ne ha parlato con il commissario europeo Margrethe Vestager: c’è un accordo di massima ma la Commissione Ue deve esaminare lo specifico progetto, che ancora non c’è. Quindi ancora non sappiamo in cosa effettivamente consisterà. Il solo paletto già posto è che non si devono infrangere le regole europee sugli aiuti di Stato. Il che rende curiosi su quali altre misure saranno previste.

Per capirsi: già da tempo nelle 8 Zes esistenti sono in vigore una riduzione del 50% dell’imposta sul reddito d’impresa e agevolazioni per contratti di sviluppo (con un valore previsto di 250 milioni di euro) ma non è successo granché, non c’è stata alcuna corsa a investire né dall’estero né da altre zone d’Italia. Come mai? E cosa lascia credere che l’unificazione ottenga risultati migliori?

Alla seconda domanda è più facile rispondere: perché creare 8 zone significa generare 8 commissari, 8 tipologie di regole diverse (magari simili, ma diverse) e 8 uffici cui ci si deve rivolgere qualora si sia interessati a investire in più di un’area. Ma cosa dovrebbe spingere a farlo? L’idea nacque negli Stati Uniti, all’inizio del secolo scorso, per superare difficoltà e diseconomie che rendevano meno conveniente investire in determinate parti dello Stato federale. Oggi i Paesi che utilizzano Zes sono 130 (Italia compresa), per all’incirca 4.300 aree interessate. La logica di una Zes è: si deroga a norme fiscali o regolamentari del Paese in cui ci si trova, in questo modo attirando investitori che altrimenti se ne starebbero lontani. Ma con il blasone Zes non ci fai nulla – come dimostrano le 8 già esistenti nel Mezzogiorno – se non si è in grado di superare le diseconomie e gli svantaggi che allontanano gli investimenti.

Ed è qui che si resta perplessi. Pare che un’idea sarebbe quella di sottoporre a un’unica autorizzazione, con il meccanismo del “silenzio assenso”, le iniziative imprenditoriali che saranno avanzate. Giusto, ma si potrebbe ben farlo in tutta Italia, tanto più che lo “sportello unico” fu già varato e vantato in passato, salvo il fatto di non essersi mai visto. Quando si parla di agevolazioni previdenziali si tratta di capire se ne saranno modificati anche gli effetti oppure si metterà la differenza in conto agli altri lavoratori o al contribuente. Quando ci s’incammina sul terreno delle agevolazioni fiscali si tratta di capire se il loro benefico effetto sugli investimenti e le produzioni trascina poi con sé una diminuzione (non meno benefica) della spesa pubblica corrente oppure un maggiore trasferimento fiscale da altre zone. In questo secondo caso non si tratterebbe di un ‘contrappeso’ al regionalismo differenziato, ma di un controsenso che cammina in direzione opposta. Essendo le due cose a cura del medesimo governo, sarebbe interessante saperlo.

Il successo di molte Zes nel mondo è dovuto anche a un diverso costo del lavoro. Il che, da noi, produce una immediata levata di scudi sindacali e la frase fatta delle “gabbie salariali”. Che fuori dalle gabbie viva liberamente una quota maggiore di lavoro nero – quindi di produzione in evasione fiscale – sembra essere considerato irrilevante. Il fallimento di altre Zes si è accompagnato alla mancanza di infrastrutture di trasporto: serve a poco sapere che produrre da una parte è più conveniente, se poi per trasportare i prodotti devo metterci troppi soldi e troppo tempo. Senza contare che nessuna Zes civile vive fuori da un rigido rispetto del diritto, il che presuppone uno Stato funzionante nell’amministrare giustizia e nel mantenere ordine pubblico. Come nel formare i cittadini, a scuola. E nel Meridione abbiamo la peggiore prova di Stato che sappia far lo Stato.

Viva le Zes. Meglio sapendo di che si sta parlando.

 

La Ragione

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