Via della seta, Meloni cambia strada

Via della seta, Meloni cambia strada

La decisione è ormai presa, l’unico dubbio è quando e come comunicarla per evitare di compromettere a cascata gli interessi di alcune grandi aziende italiane e di conseguenza l’interesse nazionale. Ma che Giorgia Meloni finirà per non rinnovare il memorandum sulla Via della seta siglato da Giuseppe Conte con la Cina nel 2019 viene dato per certo.

Pesa, naturalmente, il pressing americano. Pesa, ma non basta. Raccontano, infatti, che la presidente del Consiglio abbia affrontato la questione con spirito laico. Ha soppesato gli interessi economici, li ha intrecciati con gli interessi geopolitici ed è giunta alla conclusione che all’Italia convenga affrancarsi da un accordo che in termini commerciali conviene a Pechino più che a noi e che in termini politico-diplomatici è motivo di grande imbarazzo, tant’è che nessuno dei Paesi fondatori dell’Europa o membri del G7 l’ha siglato.

Anche di questo Giorgia Meloni parlerà col presidente statunitense Joe Biden in occasione della sua prima visita di Stato a Washington. Visita che dovrebbe tenersi, ma non è ancora ufficiale, la terza settimana di giugno.

Una delle tante anomalie italiane sembra dunque destinata a venir meno. Un’anomalia nel merito, ma anche nel metodo. Parlando con chi occupava posizioni di rilievo durante il primo governo Conte ci si rende infatti conto di quanto l’importanza di quell’accordo fosse stata trascurata. Non ci fu alcuna discussione né a livello politico né a livello governativo. Il dossier, caro a Beppe Grillo che ancora oggi lo difende, fu istruito dai vertici della Farnesina ispirati dall’ambasciatore italiano a Pechino Ettore Francesco Sequi con Luigi Di Maio ministro e dal sottosegretario leghista filo cinese allo Sviluppo economico Michele Geraci nell’indifferenza dei leader politici e degli altri ministri. Del resto, la segretezza era parte caratterizzante il memorandum. L’intesa sul futuro dei porti di Genova e Trieste, ad esempio, si concludeva con una raccomandazione che suonava grossomodo così: “L’accordo è segreto in tutte le sue parti compresa l’esistenza stessa dell’accordo”. Metodo cinese, appunto.

Il primo ad accorgersi dell’esistenza e soprattutto delle implicazioni del trattato fu l’allora sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, leghista di orientamento atlantista. Mancava poco più di un mese all’arrivo di Xi Jinping a Roma per la firma del memorandum quando Picchi, con un tweet e diverse telefonate, diede l’allarme. Si mosse l’ambasciata statunitense, si informò il Quirinale, si mobilitò il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Da una cinquantina che erano, gli accordi bilaterali furono ridotti a 29 e ciascuno dei 29 accordi, di cui 10 commerciali e 19 istituzionali, fu annacquato il più possibile.

Tuttavia, il 23 marzo del 2019 il presidente cinese Xi Jinping e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte firmarono in pompa magna il memorandum sulla Via della seta a Villa Madama. Sarà ora Giorgia Meloni a cancellare quella firma riportando di conseguenza l’Italia dall’orbita cinese dove la avevano collocata gli interessi grillini e la negligenza dei loro alleati all’orbita occidentale e atlantista che, per ragioni storiche, politiche ed economiche, ci caratterizza da sempre.

Huffington Post

Share