Ucraina, la Costituzione e il diritto alla difesa

Ucraina, la Costituzione e il diritto alla difesa

Diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale consentono la cessione di armi a scopi di difesa, in presenza di violazioni tanto gravi del diritto internazionale come quelle commesse dalla Federazione russa a danno dell’Ucraina

Il prossimo 21 giugno, il Presidente del Consiglio dei ministri sarà sentito al Senato, in vista del Consiglio europeo che ha all’ordine del giorno il tema dell’Ucraina. Alcune delle forze politiche di governo manifestano segni di insofferenza nei confronti dell’indirizzo da esse stesse approvato il 1 marzo scorso. Si ripresentano gli interrogativi più volte affacciati in questi mesi: facendosi coinvolgere nel conflitto, l’Italia viola la propria Costituzione? Fornire armi agli ucraini aggrediti ci fa divenire cobelligeranti? L’Italia sta rispettando il diritto internazionale?

Questi sono problemi sui quali si intrecciano in modo inestricabile diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale, perché l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (articolo 10 della Costituzione) e la potestà legislativa statale va esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (articolo 117).

La Costituzione stabilisce che «l’Italia ripudia la guerra» (articolo 11), ma non impone un pacifismo assoluto. I costituenti discussero a lungo sul verbo da adoperare, se «rinunzia» o «condanna», per poi scegliere «ripudia». Aggiunsero che ripudiavano la «guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», quindi non tutte le guerre. Aggiunsero che «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino» (articolo 52) e che «le Camere deliberano lo stato di guerra» (articolo 78).

Quindi, la Costituzione non bandisce la guerra, esclude solo quella di offesa, e solo a certe condizioni. Queste norme furono il frutto di una «ispirazione comune», come osservò Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione.

Se è vietata la guerra di offesa, mentre è consentita quella di autodifesa, è consentita anche quella di difesa di altri popoli? In altre parole, l’autodifesa si estende anche ad altri? L’articolo 11, quello sul ripudio delle guerre di offesa, continua disponendo che l’Italia promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni.

È a questo scopo che l’Italia ha sottoscritto la Carta delle Nazioni Unite, le cui disposizioni si intrecciano dunque con quelle costituzionali, che esse stesse consentono «limitazioni della sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».

L’articolo 51 della Carta delle Nazioni unite consente l’autotutela, sia individuale, sia collettiva, nel caso di un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite. Questa norma non è diversa, nel contenuto, dall’articolo 52 del codice penale italiano, che prevede il cosiddetto soccorso difensivo.

Il diritto di difesa collettiva sancito dalla Carta dell’Onu ha poi avuto, negli ultimi venti anni, una applicazione particolare nei casi di crimini di guerra e contro l’umanità, tanto numerosi in Ucraina: si è affermato il principio della «responsabilità di proteggere», perché i membri della comunità internazionale debbono assistere singoli Stati a prendere appropriate iniziative collettive anche a difesa di altre nazioni. Sono quasi 150 le risoluzioni di organi dell’Onu che, a partire dal «World Summit» del 2005, hanno fatto valere tale responsabilità.

Se la principale organizzazione internazionale, di cui l’Italia fa parte, consente l’autotutela anche collettiva e addirittura impone una responsabilità di proteggere popolazioni offese da crimini contro l’umanità, c’è ancora da chiedersi se la cessione di armi comporti la partecipazione alla guerra di difesa dell’Ucraina, e trasformi l’Italia in cobelligerante.

Trenta Stati di varie parti del mondo stanno fornendo armi agli ucraini. La cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina fino al dicembre 2022 è stata consentita dal Parlamento italiano con la legge numero 28 del 5 aprile 2022, ma già il 1 marzo Camera e Senato avevano approvato una risoluzione riguardante la cessione di armi. Sulla base dell’articolo 51 della Carta dell’Onu, il Consiglio dell’Unione europea, con la «Posizione comune» 944 dell’8 dicembre 2008, aveva riconosciuto che gli Stati membri dell’Unione hanno il diritto di trasferire strumenti di difesa ad altri Stati.

A sua volta, l’Unione europea, consapevole che l’articolo 41 del Trattato sull’Unione europea proibisce l’uso di fondi per operazioni militari, ha costituito fin dal 22 marzo 2021 un «European Peace Facility» per la politica di sicurezza e difesa comune, previsto per interventi nel Sahel e in Mozambico e già utilizzato per quelli in Georgia, Moldavia e Mali. Con i mezzi di questo fondo, raddoppiati il 23 marzo scorso, l’Unione ha fornito a sua volta assistenza militare diretta all’Ucraina.

Che la cessione di armi non faccia diventare cobelligeranti è dimostrato, infine, dai precedenti dell’assistenza russa ai Vietnamiti tra il 1955 e il 1975 e da quella americana agli israeliani per la guerra del Kippur nel 1973: né gli americani nel primo caso, né egiziani e siriani nel secondo accusarono, rispettivamente, Unione sovietica e Stati Uniti di essere cobelligeranti.

In conclusione, diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale consentono la cessione di armi a scopi di difesa, in presenza di violazioni tanto gravi del diritto internazionale come quelle commesse dalla Federazione russa a danno dell’Ucraina.

Dalla vicenda dell’aggressione russa dell’Ucraina possono trarsi molte lezioni. La cessione di armi ad altro Stato, che si difende e rifiuta che la guerra sia uno strumento di risoluzione di controversie internazionale, è legittima per il diritto internazionale, per quello europeo e per quello costituzionale italiano: se la Federazione russa sostenesse il contrario, affermando che i trenta Stati che inviano armamenti all’Ucraina sono cobelligeranti, sarebbe, oltre tutto il resto, in contraddizione con se stessa, visto che rifiuta di chiamare guerra la sua «operazione militare speciale».

Questa ennesima manifestazione di nazionalismo aggressivo è una sconfitta del sovranismo, che deve pagare il costo imposto non solo dalle sanzioni (è più corretto definirle contromisure o ritorsioni, come vengono chiamate nel diritto del commercio internazionale), ma anche da una rete di altre misure previste da accordi internazionali, quasi tutti firmati e violati dalla Federazione russa. Chi sostiene che intrappolare l’orso russo lo rende più pericoloso disconosce alcuni secoli di progresso del diritto internazionale.

La Russia sta commettendo le più gravi violazioni del diritto umanitario non solo a danno degli ucraini aggrediti, ma anche dei suoi stessi soldati, allo stesso modo del generale Žukov che, durante la seconda guerra mondiale, faceva avanzare la sua fanteria nei campi minati per farvi poi passare i carri (quando lo disse al generale Eisenhower, suscitò il suo orrore).

Il ventennio putiniano (due mandati come primo ministro, quattro come presidente della Federazione) non ha solo rovesciato il processo di democratizzazione e liberalizzazione post-sovietico, ma ha anche suscitato la reazione della comunità internazionale: la Nato ha raddoppiato il numero degli Stati membri nello stesso periodo, ed altri Stati bussano alla sua porta.

È ora che il rispetto del diritto internazionale ritorni nelle mani delle corti, che possono giudicare in modo indipendente, ed hanno già cominciato a valutare le violazioni della Convenzione del 1948 sul genocidio e del trattato di Roma, che ha istituito la Corte penale internazionale.

Termino con le parole pronunciate dal filosofo Karl Popper in una conferenza del 17 dicembre 1993: «La pace è necessaria. Per essa bisognerà ancora a lungo lottare e difenderla. Dobbiamo rassegnarci a questa lotta e a questa difesa. E anche al fatto che noi e le Nazioni Unite faremo degli errori. Ma l’ottimismo è dovere».

Il Corriere della Sera

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