Trincea

Trincea

Oggi il presidente del Consiglio riferirà in Parlamento, sulla guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, il diritto internazionale, la civiltà e la nostra sicurezza. Vivendo in un mondo aperto, dove le informazioni girano e quelle che non girano sono riservate, sicché non saranno oggetto delle comunicazioni, non è da questa ricognizione che potranno giungere novità.

L’attenzione, pertanto, si concentra sulle eventuali azioni di disturbo, sulle inutili invocazioni di pace (da rivolgersi a Mosca) e sulle spaccature interne alla maggioranza. Segnatamente a quelle interne al Movimento 5 stelle. Sullo sfondo la domanda se l’Italia è nelle condizioni di mantenere ferma la propria posizione. La risposta è: certamente sì. Ma la domanda è già un danno.

La guerra non ha mutato il suo aspetto. Non potrà concludersi sul campo, nelle trincee, dove, al massimo, si possono conquistare posizioni propedeutiche a un negoziato. La Russia ha dimostrato larga inefficienza e incapacità militare, a dispetto della (dai suoi amici) declamata armata di distruzione. Ma ha una schiacciante prevalenza di mezzi e di uomini da mandare al massacro. L’Ucraina ha dimostrato coraggio e determinazione, con l’aiuto dell’Occidente è in grado di resistere.

In queste condizioni, finché sarà fermo il diniego russo a ogni tipo di serio negoziato, la guerra è destinata a durare. Per risolversi sul campo dovrebbe ricorrere una di queste due condizioni:

  1. l’Occidente cessa di sostenere l’Ucraina, negozia la sua sparizione dalla carta geografica e consente alla Russia l’espansione;
  2. l’Occidente passa dal sostenere, con le armi, la resistenza al fornire strumenti utili per il contrattacco e la vittoria Ucraina. La prima non possiamo accettarla, perché ne andrebbe della nostra stessa sicurezza. La seconda non possiamo favorirla, perché porterebbe con sé la terza guerra mondiale.

La Russia perderà. Putin ne ha innescato la distruzione. Ma, senza negoziati, sarà lunga e si dovrà attendere che le sanzioni la consumino dall’interno (il che presuppone una impegnativa attività diplomatica d’isolamento). Da questo discende che nessun Paese dell’Occidente democratico, nessun Paese dell’Unione europea, per tutto il corso dello strazio, potrà singolarmente cambiare posizione o sfilarsi. Uscire dalla trincea non sarebbe un lanciarsi verso i verdi campi della pace, ma verso i cimiteri dei fucilati per diserzione o per (fondata) sfiducia da parte del nemico. Dunque, stiamo parlando del nulla.

Fa piacere sapere che l’Italia ha un ministro degli affari esteri europeista ed atlantista. Siamo entrati nel Patto Atlantico nel 1949 e avviato la fondazione dell’Europa unita nel con il Trattato di Roma (guarda caso) nel 1957. Due paletti discussi dagli svalvolati e da quanti sono stati, ieri e oggi, al servizio e al soldo del nemico militare e politico.

Di Maio, che oggi si erge a baluardo europeista ed atlantista, annunciava, nel 2017, che avrebbe votato per l’uscita dall’euro e, nel 2019, firmava, unico Paese del G7 e in compagnia ungherese, la “Via della seta”. Che oggi prevalga la via della sete è cosa positiva. Fidarsi della coerenza comporta una fede che non ci ritroviamo. Puntiamo sulla speranza e lo spirito di carità.

In politica, come nella vita, accogli quanti cambiano posizione e abbandonano gli errori del passato. In politica, come nella vita, quel che fortifica la credibilità è la trasparenza e la coerenza. Mi fermo.

Qui non si tratta della paccottiglia dei bonus, qui si maneggiano i beni indisponibili dell’Italia. Ragion per cui avremmo una preghiera: liberi di baccagliare e dividersi su chi comanda, nel movimentato Movimento, liberissimi di tendersi agguati per stabilire chi compilerà le liste elettorali, che porteranno in Parlamento solo una frazione marginale della legione che ora vi siede (perché votata dagli italiani, che ne hanno la responsabilità), ma trascinare nella rissa la collocazione internazionale dell’Italia è da irresponsabili. E mica solo dalle loro parti.

La Ragione

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