Tre strade

Tre strade

Non solo caciara

Parla a ragion veduta, il problema è il punto di caduta. Silvio Berlusconi non ha perso il controllo della favella, la usa appositamente per fare del governo nascente una politica morente. Il baricentro del centrodestra si è vistosamente spostato a destra e chi ne è stato l’artefice preferisce vederlo cadente piuttosto che pensarsi perdente.

Se dovesse ottenere quel che pubblicamente chiede ne deriverebbe che Giorgia Meloni ha vinto le elezioni e perso il governo. Se non dovesse ottenerlo sarebbe comunque pronto a votare la fiducia, avendone ottenuto l’indebolimento. E siccome ho l’impressione che questa roba politicante interessi poco a pochissimi, vediamone i risvolti e quel che comporta per l’Italia.

A parte la squadra di governo, dove ha comunque poche carte di valore da spendere, Berlusconi ha scelto di aprire il fronte Putin. Un gesto generoso, che toglie ogni dubbio sulla penetrazione russa in Italia e sulla necessità di bonificarla. Parole che nel loro essere vere sono anche significative: se è vero (ed è vero, ci si ricordi di Pratica di Mare, 2002) che Putin era pronto a fraternizzare o addirittura entrare nella Nato, ne deriva che è un to-tale bugiardo ad accampare fra le cause della guerra il suo allargamento a Est, tanto più che era precedente.

Ma anche questo conta poco, perché lo scopo di quelle parole è far capire agli interlocutori esterni all’Italia che o il garante della nostra collocazione internazionale lo fa lui, Berlusconi, o non fidatevi di Meloni (che, osserviamo, tiene il punto e si difende bene), perché tanto la metto in crisi quando voglio. Il messaggio è chiaro. E il tema scelto, l’Ucraina, segna un punto non mediabile e di non ritorno, tanto da mettere in dubbio la permanenza nel Partito Popolare Europeo.

Il risultato di tale azione è che per fronteggiare il fronte berlusconiano il futuro presidente del Consiglio lascia sguarnito il fronte Lega. O, se preferite, Salvini, scelto come migliore alleato. Il quale s’è bruciato le terga, con i russi. Una cosa è che parli Fontana, ripetendo la sciocchezza secondo la quale le sanzioni danneggiano più noi che la Russia, altra che la Lega prenda la patente di filiale russa.

Quindi giocherà sul campo delle pensioni (da regalare) e degli aiuti (da elargire). Nessuno potrà dirgli che è una novità, perché 30 miliardi di maggiori debiti li chiedeva già in campagna elettorale. Se Meloni dovesse accedere a questa dottrina (che rifiutava) pur di reggere il fronte berlusconiano, il governo sarebbe cotto dopo un mese, in occasione della legge di bilancio.

Senza contare gli sghignazzi globali per avere usato i putinofili per arginare il putinissimo. Quindi Meloni ha tre possibilità. La prima consiste nell’attenersi all’articolo 92 della Costituzione, approfittando del potere che le consegna: riceve l’incarico, porta al Colle una lista che ritiene la migliore, giurano e vanno in Parlamento. Se gli altri del centrodestra, oramai destrizzato, hanno da ridire, lo facciano ora o si tolgano da torno.

La seconda prevede che al Colle vada non con la lista migliore ma con quella più conveniente, cedendo più ai leghisti che ai forzitalioti, sicché indebolendosi notevolmente e affrontando la navigazione parlamentare senza scialuppe di salvataggio. Modello elezione di La Russa.

La terza è far saltare il banco e puntare alle elezioni a marzo, con il Quirinale che, nel frattempo, potrebbe affidare il governo a Daniele Franco, per la legge di bilancio.

In tutti e tre i casi l’Italia si trova pericolosamente esposta sul fianco della politica estera e su quello della politica di bilancio. Due punti nevralgici e deboli. Tutto questo per avere voluto negare la fraudolenta falsità delle due coalizioni. Con quella destra che mostra al sole le sue profondissime divisioni e quella sinistra divenuta superflua, ma il cui silenzio tombale – non a caso rotto da sussulti (sbagliati) sulle foto dei defunti – ne descrive adeguatamente la condizione.

Molti italiani dicono: abbiamo votato. Certo, ma dei falsi. E si vede. Attenzione però, perché peso internazionale, sicurezza, argine alle speculazioni e crescita delle esportazioni si tengono fra loro. E incidono sulle tasche e sul futuro.

La Ragione

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