Traghettatore

Traghettatore

Non è un granché l’arte dell’interrogarsi sul cognome di chi abiterà il Quirinale. E s’esibisce in modo capovolto: si indica il cognome, facendone discendere conseguenze politiche, laddove si dovrebbero indicare le scelte politiche, facendone discendere il nome.

Chi si troverà al Colle sarà un traghettatore. Da lì non si governa, ma si ha in mano la barra dell’imbarcazione costituzionale, se ne custodisce e difende l’equilibrio, acciocché non si ribalti per lo sbilanciarsi dei poteri e non scuffi al vento delle demagogie. E quando si ha in mano la barra è importante sapere dove andare. Caronte sapeva chi traghettava e verso dove, ma qui le anime dovrebbero essere in vita e non è affatto chiaro cosa ciascuno intravveda sull’altra sponda. Ammesso veda qualche cosa.

Eletto all’inizio del 2022, dopo un anno il presidente della Repubblica si troverà con un Parlamento del tutto diverso. Non solo perché ci saranno state le elezioni, come è del tutto naturale sia, ma perché è stata cambiata la composizione stessa dei due rami del Parlamento. A questo si aggiunga che è stata, in queste ore, presentata una proposta di riforma costituzionale che introduce l’impossibilità di rielezione, il che comporterebbe anche la sparizione del già modificato “semestre bianco”, ovvero il tempo in cui il presidente perde uno dei suoi poteri, quello di sciogliere il Parlamento. Ove sia approvata sarebbe un ulteriore elemento per cui il presidente presiederà una realtà costituzionale diversa da quella in cui è stato eletto.

La miopia d’un mondo politico alla ricerca di consensi senza politiche spinge a considerare due sole scadenze: l’elezione presidenziale e le elezioni del 2023. Ragionando d’Italia e del futuro, invece, se ne vedono almeno altre due: il rinnovo dei vertici dell’Unione europea, nel 2024, e la scadenza dell’erogazione dei fondi europei. Un orizzonte un po’ più vasto. In queste condizioni, con le forze politiche maggiori attestate più o meno a un quinto dell’elettorato, c’è qualcuno che pensa di potere governare da solo, contro gli altri, facendo finta d’avere alle spalle maggioranze omogenee? Lo dicono, ma è follia. Nemmeno, però, si può andare avanti a governo Draghi all’infinito. Almeno non senza che i partiti politici chiudano. Farebbero bene, allora, a riconoscere che ciascuno diede un contributo a scassare la Costituzione e che varrebbe la pena di una rimessa a punto condivisa. Può essere fatto nel nuovo Parlamento o, in questo, chiedendo agli elettori di designare, nel 2023, un’apposita Assemblea.

A quel punto al Colle va chi è espressione di questo indirizzo e ci sta per il tempo della realizzazione. Al Caronte dantesco lo impose Virgilio: <<vuolsi così colà dove si puote/ ciò che si vuole, e più non dimandare>>. Qui si puote pochino, ma il colà è la politica. Se si spiccica dal nulla.

La Ragione

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