Raymundo

Raymundo

Per ciascuna delle ragioni che ha e che espone, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ci pone dei dubbi. Nella lunga intervista con cui ha chiuso l’anno, rilasciata a “Il Sole 24 Ore”, si sente il tono e si scorge il contenuto di chi è stato ministro nel governo di Mario Draghi. Il che non è in contraddizione con le origini dell’impostazione leghista, che il ministro ricorda essere la sua sola casa: Umberto Bossi pose il problema dell’ingresso della Padania nell’euro, anche ove l’Italia avesse ritardato quella scelta. Aveva senso e coerenza: basta con lo scialacquio assistenzialista, basta con le pensioni a chi non aveva lavorato abbastanza, basta con la spesa corrente improduttiva sulle spalle di chi lavora, intraprende e paga le tasse. Ma è difficile che Giorgetti non si sia accorto che la sua casa ha cambiato non soltanto arredamento ma anche indirizzo.

Al punto che, leggendo quelle sue sagge parole, è tornato alla mente un personaggio creato dalla surreale fantasia di Mario Marenco: il comandante spagnolo «catapultado» nello spazio e perso in orbita, senza più la possibilità di tornare indietro. Irrompeva ad “Alto Gradimento” e berciava: «Olè! Bastardos, cornudos! Esto è el comandante Raymundo Navarro, non te siento … abla fuerte! Ocho anos che roteo como asino vagabundo, como disgrasiados, in esto trabiculometalico. Todo esto payses internationales, todo esto payses auropeos che habencombinato esta superior y monumental vacada. No tiengo alimentos, compriende. No tiengo muchacha. Estos cornudos, chi haben combianto esto mecanismos, pieno de bucones esto colabrodo».

Dice Giorgetti che non è questione (soltanto) di patto di stabilità e regole europee: l’Italia deve ridurre il proprio mostruoso debito pubblico perché pensare di allargarlo è da drogati fuori di testa. Giusto, ma si ricorda di essere stato eletto nelle liste di un partito che chiedeva lo sfondamento del debito e del deficit? Ricorda la buffonata del deficit al 2,4%, diventato 2,04% all’epoca del primo governo Conte di cui il suo partito era pilastro? Sono le medesime persone e posizioni di oggi e ci vuole tanta fede per credere che a prevalere possa essere la linea di Giorgetti. Tanto più che ha appena finito di perdere, perché ricorda che nella bocciatura della legge di conversione del Meccanismo europeo di stabilità non si sono fatte valere obiezioni serie, fattuali ed economiche ma solo pulsioni politiche. Appunto, e lui è finito in minoranza – contemporaneamente – in Parlamento, al governo e nel suo partito. E dopo esserci finito avverte: ci saranno delle conseguenze. Eccome, magari poteva valere la pena dirlo prima.

Comunica che è stato un successo del suo negoziare l’avere posticipato al 2027 le regole più rigide di rientro dal debito: «smaltito il grosso dell’eredità superbonus». Ovvero quello che il suo partito (assieme agli altri) chiese di prolungare e non restringere, quando Draghi ci provò. Si potrebbe osservare che hanno appena varato un decreto di proroga, ma è osservazione sbagliata, perché quella è soltanto una presa in giro di Forza Italia. L’obiezione è un’altra: in attesa del 2027 il debito cala in percentuale sul Prodotto interno lordo? Nella legge di bilancio dicono di sì, ma sulla base di presupposti (crescita all’1,2%) che si sapeva essere falsi anche quando li approvavano. Dice Giorgetti: possiamo farcela, se caleranno i tassi. Il mercato già sconta quel calo, ma se quella è la sua sola speranza è segno che non crede nell’azione del governo di cui è ministro.

Il problema non è né Giorgetti (persona seria) né di Giorgetti (che se la veda lui con i leghisti che propagandano voluttuosamente la droga psichedelica del debito). Il problema è nostro perché, se all’economia presiede chi vede bene gli errori che si commettono ma non riesce a fermarli ed evitarli – acconciandosi, per rimanere in casa Arbore, a Ferrini di destra («Non capisco, ma mi adeguo») – le conseguenze non le paga lui, ma noi contribuenti e produttori.

La Ragione

Share