Perché le tesi di Pisapia sull’eutanasia non mi convincono

Perché le tesi di Pisapia sull’eutanasia non mi convincono

Non c’è dubbio che quella che era un tempo la priorità dei partiti progressisti, cioè la “questione sociale”, oggi sia stata soppiantata dalla battaglia per i diritti. D’altronde, oggi nessuno più (o quasi) si definisce comunista o socialista, ma più genericamente si parla di “la sinistra”. Di questa attenzione prioritaria ai diritti, non può essere un liberale a dolersene. Se non fosse che il terreno dei diritti è sempre molto scivoloso, soprattutto quando, come spesso accade, sono imputati ai gruppi e non all’individuo.

Considerato come vanno le cose, non è perciò strano che l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, abbia iniziato ieri proprio con una storia di diritti la sua collaborazione a La Repubblica. Lo ha fatto in modo molto felpato come è nel suo stile. Ma che mi abbia convinto direi proprio di no. Come ugualmente non mi convincono i tanti che in nome di una “morte dignitosa” giustificano l’eutanasia.

Il fatto è che dietro il paravento di ciò che sembrerebbe il massimo della democrazia, cioè la stesura da parte di ognuno di un “testamento biologico” che indichi in anticipo ciò che si vuole che si faccia della propria vita nel caso in cui ci si dovesse trovare in una situazione disperata; dietro questo paravento, diceva, si cela una evidente asimmetria fra una opzione che la cultura predominante, niente affatto imparziale, considera “giusta” e “civile” e un’altra che di fatto tale non è considerata ed è svalutata. Che è un po’ il vizietto di molto pensiero progressista: democratico nella forma ma fortemente valoriale nella sostanza.

Le opzioni, in quanto riferibile agli individui, dovrebbero avere invece tutte eguale valore. Eppure, avete mai visto perorare il diritto all’accanimento terapeutico, espressione che già di per sé si connota negativamente? Eppure, io desidererei, per convinzione ed esperienza, che i medici, se mai fosse, si accanissero nei miei confronti. Ma non per motivi di fede o religiosi, bensì anche pragmatici e utilitaristici, se volete. Tengo infatti molto alla mia vita, di cui mi piace gustarne ogni aspetto, ma so benissimo che è un bene fragile e che, soprattutto, non è mai da noi prevedibile né tantomeno predeterminabile. Di fronte ad essa, e anche quindi alle sue evoluzioni o involuzioni, bisogna porsi con molta umiltà: nulla esiste, sulla faccia di questa terra, di assolutamente irreversibile.

Nemmeno la Scienza può sottrarci alla potenza dell’imponderabile, per quanto questo sia poco probabile. E a dimostrarlo ci sono io stesso, con la mia esperienza. Dato per spacciato da accreditati clinici, dopo un intervento chirurgico, circa trent’anni fa, ora sono qui a raccontarne. E credo che altri possano dire lo stesso. Quindi si può anche accettare una legge sul “testamento biologico”, ma non si deve avvalorare con gli esempi (come è prassi comune e scontata come certi interventi giornalistici e non) una tesi ed una soltanto. Si può usare in modo meno prevedibile e ideologico il proprio armamentario ideale?

Corrado Ocone, http://www.huffingtonpost.it/ 8 ottobre 2016

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