Mascherati da Marshall

Mascherati da Marshall

Da destra a sinistra, dal lavoro all’impresa, dalla finanza all’informazione, s’ode invocare il Piano Marshall. Sanno di che stanno parlando? Dubito, in compenso so cosa stanno dicendo.

Lasciamo pure da parte il fatto che lo European recovery program, alias Piano Marshall, si basava sulle macerie della seconda guerra mondiale, non a caso prendendo il nome di quel George che in quel momento era segretario di Stato, ma aveva appena finito di essere capo di stato maggiore statunitense. Quando si cercano riferimenti storici meglio evitare quelli che evocano la propria distruzione, per giunta, per noi italiani, dalla parte del torto. Non furono soldi spesi a caso, avevano delle caratteristiche.

A. Si dirigevano principalmente verso gli alleati: Regno Unito e Francia. Non erano i più distrutti, ma erano quelli che erano stati dalla parte giusta. B. Si dirigevano verso mercati in cui quasi tutto era da rifare, il costo del lavoro era bassissimo e ancora minori le sue protezioni, altrimenti si sarebbe trasformato in un finanziamento di rendite europee a carico dei contribuenti statunitensi. C. Erano soldi che venivano da fuori e finanziavano non solo la ricostruzione, ma l’egemonia statunitense.

Ora: A. non esiste più, nel senso che siamo tutti nell’Alleanza Atlantica; B. il nostro lavoro è protetto e costoso, i nostri sistemi di welfare più accudenti di quelli americani. C. Chi mai dovrebbe trasferire denaro, dall’esterno, per aiutare l’area più ricca del mondo? Vero che firmando la Via della Seta un governo ottuso ha reso commerciabile l’influenza sull’Italia, ma manco attirarono capitali in più.

Quindi: Marshall, che il cielo lo abbia doppiamente in gloria, non c’entra nulla. Allora che sta dicendo, il coro falsamente o ignorantemente marshalliano? Sta invocando investimenti pubblici a debito. Con soldi nostri, che sono tali anche quando sono europei, perché l’Ue siamo sempre noi.

Posto che il Piano Marshall durò quattro anni (1947-1951), non quaranta, gli investimenti pubblici possono essere utili per riavviare lo sviluppo. Ma possono anche essere mortali e precipitare nel sottosviluppo. È questione di scelte, non di fedi ideologiche. Devi puntare a una crescita che abbia un ritmo più veloce di quella dei tassi d’interesse che paghi sul debito, altrimenti stramazzi. Per farlo, ed è possibile, devi cancellare vincoli e rendite. Per intenderci: quota 100 e reddito di cittadinanza li rimetti nell’armadio degli errori orribili. Prendi atto che la disoccupazione cresce, ma le aziende non trovano lavoratori, perché la formazione fa pena e investi in quella, non nell’assunzione dalle graduatorie ad esaurimento, cercando voti clientelari. Nel mentre fai crescere gli investimenti tagli la spesa pubblica corrente, in modo da indicare ai mercati che sei una scommessa promettente, mentre qui sono anni che si fa l’esatto contrario. Eviti anche solo di lasciare immaginare che saranno distribuiti soldi a pioggia o favoriti ancora quelli che le tasse non le pagano o tenute a galla produzioni bollite, ma chiarisci prima di spendere in cosa e perché spenderai.

Siccome di tutto ciò non sento parlare, mentre torna ossessivamente questa roba del Piano Marshall, ho la brutta sensazione che una coltre vociante tiene il futuro nella stessa considerazione in cui tiene la conoscenza del passato, annaspando garrula nel presente.

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