Magistratura potere fuori controllo: tre idee per riformarla

Magistratura potere fuori controllo: tre idee per riformarla

Quello disvelato dal trojan che ha spiato i magistrati è lo spettacolo di un potere divenuto incontrollabile, irresponsabile, onnivoro. Una Procura della Repubblica, si dice, vale un Ministero. Errore: molto ma molto di più! Una Procura può fare e disfare governi, giunte regionali, sindaci, partiti politici, pubbliche amministrazioni, aziende pubbliche e private, solo iscrivendo – o non iscrivendo – nel registro degli indagati le persone giuste. Nella cultura giustizialista di questo Paese la giurisdizione si esaurisce nella indagine, anzi nemmeno, nella ipotesi di indagine. La sentenza, quella del Giudice, quella che ci dirà infine se l’indagine fosse giusta o sbagliata, fondata o infondata, non interessa a nessuno.
Il Ministro Bonafede pensa di risolvere la questione aperta dall’inchiesta di Perugia e dalla pubblicazione delle intercettazioni modificando il sistema elettorale del Csm. Ci dovrebbe spiegare allora cosa lo autorizzi a pensare che l’abolizione del collegio unico nazionale indebolisca il peso delle correnti, ma non lo rafforzi in modo decisivo il ballottaggio al secondo turno. Se si vuole affievolire il dominio correntizio, bisogna semmai rafforzare, non demagogicamente indebolire, la presenza della componente non togata del Consiglio, che per
inciso risulta, e non a caso, totalmente assente ed ininfluente nelle dinamiche scoperchiate dal trojan. Parificare il numero dei togati e dei laici, eccola una soluzione sensata.
La soluzione è una sola: separazione delle carriere di Pm e giudici, doppio CSM, fine dei distacchi presso l’esecutivo. Sono le cose che questo Governo non farà mai, e contro le quali la magistratura combatterà la partita della vita.
La magistratura vuole l’autoriforma. Cioè una riforma dettata dai Pm e votata dal Parlamento.
Vuole il Gattopardo.
Parte malissimo, come d’altronde avevamo preventivato, la “riforma del Csm” che il Governo sta approntando sulla scia di quanto emerso, nell’ostentato stupore ipocrita dei più, dalla indagine della Procura di Perugia.
Non poteva essere diversamente. Se ci si ostina a non voler vedere e comprendere ciò che emerge davvero dalla pesca a strascico del trojan installato nel telefono di uno dei magistrati più in vista e più influenti della governance associativa e istituzionale della Magistratura italiana, il risultato non potrà che essere il solito intervento gattopardesco, che nulla cambia ed anzi, in questo caso, addirittura cambia in peggio.
Ha ben ragione Luca Palamara quando mette subito in chiaro, nella sua recente intervista televisiva,
che quel “sistema delle correnti”, un sistema condiviso e praticato dalla intera magistratura italiana, ha insediato tutti, ma proprio tutti i vertici degli uffici giudiziari italiani. Non è che il sistema fa orrore se non nomina Di Matteo alla Procura anti-mafia, ed è virtuoso se nomina Gratteri alla Procura di Catanzaro: è lo stesso nell’un caso e nell’altro, prendere o lasciare. O dobbiamo immaginare che la nomina del dott. Davigo a Presidente
di Sezione della Corte di Cassazione sia avvenuta in virtù di una epifania dello Spirito Santo?
Se ad una carica concorrono più magistrati con profili di carriera grosso modo comparabili, la scelta esprimerà necessariamente una opzione “politica”; altrimenti si faccia un test attitudinale, e chi fa più punti vince. D’altronde, qualunque libera associazione di persone si articola in correnti (di pensiero o di interessi, non importa), una inerzia semplicemente ineliminabile. Ora si vuole tornare a valorizzare l’anzianità, ma non fu questa la ragione per la quale si gridò allo scandalo per la scelta di Meli anziché di Giovanni Falcone?
Il Ministro Bonafede pensa di risolvere la questione modificando il sistema elettorale. Ci dovrebbe spiegare allora cosa lo autorizzi a pensare che l’abolizione del collegio unico nazionale indebolisca il peso delle correnti, ma non lo rafforzi in modo decisivo il ballottaggio al secondo turno. Se si vuole affievolire il dominio correntizio, bisogna semmai rafforzare, non demagogicamente indebolire, la presenza della componente non togata del Consiglio, che per inciso risulta, e non a caso, totalmente assente ed ininfluente nelle dinamiche scoperchiate dal
trojan. Parificare il numero dei togati e dei laici, eccola una soluzione sensata. Ma la magistratura italiana la aborre, dando fiato alle trombe della immancabile, pretestuosa difesa della “indipendenza della Magistratura”, che in verità non ha dato di sé una prova commendevole, sciamando senza freni tra ristoranti notturni e cene organizzate con geometrica potenza politico-giudiziaria.
Ma da questo punto di vista la magistratura italiana, certamente nei suoi vertici politici ed istituzionali, ma anche nel consenso elettorale che la sorregge, è irredimibile, e come se niente fosse invoca, sempre in nome della famosa sua indipendenza, “l’auto-riforma”, che significa una riforma scritta dal legislatore sotto sua dettatura.
D’altronde, l’idea è quella: il Parlamento sarà pure democraticamente eletto, ma è popolato da attentatori della indipendenza della magistratura: giù le mani dagli “eletti” (nel senso questa volta mistico del termine).
La soluzione del problema, caro Ministro, sta altrove. Quello disvelato dal trojan è lo spettacolo di un potere divenuto incontrollabile, irresponsabile, onnivoro. Una Procura della Repubblica, si dice, vale un
Ministero. Errore, molto ma molto di più! Una Procura può fare e disfare Governi, Giunte regionali, Sindaci, partiti politici, Pubbliche Amministrazioni, aziende pubbliche e private, solo iscrivendo – o
non iscrivendo – nel registro degli indagati le persone giuste. Nella cultura giustizialista di questo Paese la giurisdizione si esaurisce nella indagine, anzi nemmeno, nella ipotesi di indagine. La sentenza, quella del giudice, quella che ci dirà infine se l’indagine fosse giusta o sbagliata, fondata o infondata, non interessa a nessuno, ed anzi quando assolve induce al sospetto. Non conta nulla il giudice, in questo Paese. Conta il Pubblico ministero, ed infatti i magistrati italiani (contenti loro, verrebbe da dire) eleggono da sempre ai propri vertici i Pubblici Ministeri, che pure rappresentano il 20% scarso dell’elettorato togato, i quali in tal modo governano la giurisdizione, orientando le nomine ai vertici degli uffici, condizionando il potere disciplinare, decidendo i distacchi dei fuori ruolo presso l’esecutivo (ministero di Giustizia in primis). Perciò la soluzione è una sola: separazione delle carriere tra Pm e Giudici, doppio Csm, fine dei distacchi presso l’esecutivo. Esattamente le cose che questo Governo non farà mai, e contro le quali la magistratura italiana combatterà la partita della vita. In nome della propria indipendenza, naturalmente.

Pubblicato da Il Riformista del 04.06.2020

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