Lo scempio del ricondono a Ischia

Lo scempio del ricondono a Ischia

In quel fango affonda un’Italia che si fa finta di non vedere, ma è nota a tutti. Ci sono i piccoli abusi, che spesso sono tali per la tortuosità e ottusità dei cunicoli burocratici, o per la propensione all’evasione. Cose che non dovrebbero essere tollerate, ma comunque del tutto diverse dall’edificare intere abitazioni e ville abusive. Comincia uno e poi arrivano gli altri. Impossibile non vedere. Poi ciascuno dice di non avere saputo, ma lo sappiamo tutti.

Chi agisce in tal modo punta al condono, ma si accontenta anche del sonno pubblico. Assieme a quei mattoni abusivi si solidifica la non credibilità della legge e si storpia quel che è di tutti. Qualche volta succedono tragedie. Come è avvenuto a Casteldaccia. Quel giorno ci si sveglia nel dolore. Ci si chiede, con ipocrisia, come sia stato possibile.

C’è la spiegazione specifica: l’ordine di demolizione, il ricorso al Tar, il procedimento in perenzione, nessuno che se ne avveda, nessuno che proceda. Ma non spiega nulla. La realtà è che un candidato sindaco che si proponga gli abbattimenti non lo si elegge manco per sogno. I condoni edilizi, come quelli fiscali, li deprecano tutti, ma poi tutti li varano. E non lo fanno per essere impopolari, ma per avere consenso. Questa è la malattia profonda: perdonare l’abuso privato senza capire che rende imperdonabile il disfacimento collettivo. Quei morti li piangiamo. Ma anche i vivi che si acconciano a questo andazzo, vanno pianti. Commiserati quali artefici della propria miseria. Il ricondono di quel che fu già condonato, ma era incondonabile, come a Ischia, è la solidificazione dello scempio.

Davide Giacalone, 17 novembre 2018

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