Legami

Legami

Le decisioni arriveranno il 20-21 ottobre, data del Consiglio europeo. Ma la decisione più importante è già stata presa da mesi, fissando una unità politica europea che solo Orban prova a mettere in dubbio. Senza neanche lontanamente riuscirci.

L’unità sulla risposta alla criminale invasione russa è già un fatto, fissata nelle sanzioni, negli aiuti (anche militari) agli ucraini e nella decisione tedesca di considerare North Stream 2 morto prima di nascere. Ieri è stata ribadita e rafforzata. Ci si capisce nulla, se non si parte da questo presupposto. Da qui al 20 il problema non è trovare l’unità, ma il consolidarla con altri passi. Come diversi ne sono stati fatti, dal 24 febbraio, e se ne faranno. Ciascun passo, ciascuna riconferma dell’unità, crea legàmi.

L’Unione europea è un poderoso acquirente di gas. Fin qui, essendo economicamente conveniente (ricordiamolo, altrimenti si sembra scemi) si è preferito che ciascun Paese si regoli per conto proprio nell’acquistare, salvo sottostare a regole comuni che favoriscono il consumatore, nel vendere e distribuire.

Difatti il prezzo del gas scendeva. La pioggia di telefonate che ricevevamo, con offerte sempre più vantaggiose, non era dovuta alla generosità, ma alla sana cupidigia, di cui il consumatore si giovava. La situazione è cambiata ed è ora conveniente cambiare musica.

Delle cose sono state già fatte, anche se l’informazione caciarona non agevola nel diffonderle: si è già fissata una soglia al di sopra della quale si tagliano i profitti delle società energetiche; si è stabilito un prelievo di solidarietà; si marcia verso l’acquirente unico (come per i vaccini). Ciascuna di queste cose comporta legàmi.

Difatti taluni (l’Olanda) li considera eccessivi. Saranno più stretti con il tetto al prezzo del gas, foss’anche come banda d’oscillazione. Saranno strettissimi con un eventuale fondo comune. Chi lamenta ritardi, chi frigna per la poca Europa, si ricordi che quei legàmi generano i vincoli contro cui ieri faceva dissennate campagne.

I sovranisti italocentrici (come i francocentrici, germanocentrici e via centrando) e i falsi europeisti perdenti hanno in comune la convinzione che quei legàmi siano una camicia di forza e le istituzioni europee una specie di istitutrice severa (meglio se tedesca, nella loro turpe fantasia). Balle. Non ci sono dictat, moniti, gelo. C’è il vincolo della realtà: un fondo comune ha delle regole, che puoi non accettare, ma che poi devi rispettare.

I veri difensori dell’interesse nazionale sono quanti capiscono che l’Ue siamo noi e non esiste un “noi” estraneo all’Ue. I pericolosi danneggiatori dell’interesse nazionale sono quanti non hanno il coraggio di spiegare cosa è necessario fare, quindi preferiscono dire: “lo chiede l’Europa”.

Spostano l’accento e al posto dei legàmi condivisi preferiscono chiedere: lègami, che altrimenti scivolo. Sostituiscono i legacci alla convenienza, sol perché raccontarono che si sarebbero battuti contro quello che favorisce il nostro mondo produttivo e la crescita economica. Si fanno legare per non dovere onorare le castronerie piagnucolose e vittimiste con cui lisciarono il pelo ai nazionalismi e all’assistenzialismo amante e produttore di povertà.

Per questo, a destra e sinistra, si sente sempre il bisogno di dire: l’Europa è divisa. E si osa ripeterlo mentre viviamo la più clamorosa dimostrazione di unità politica, di fronte a una guerra. Mai successo prima. Certo che se ne soffre e certo che il dolore non è uniforme, neanche all’interno di un solo Paese, quindi i bisogni sono diversi. Questo è il lavoro necessario, da Praga al 20.

Quel castello è noto per la “defenestrazione”. 1618, una questione religiosa (e non solo): presero i rappresentanti dell’imperatore e li frullarono dalla finestra. Ancora oggi c’è una storiella popolare: non morirono, perché sotto c’era una montagna di sterco. L’Unità europea, in quel castello, defenestri chi riporta la guerra nella nostra Europa e il Mondo alle porte dell’inferno.

La Ragione

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