La faziosità che impedisce di affrontare i problemi

La faziosità che impedisce di affrontare i problemi

Dalla lezione di un grande studioso della democrazia, Giovanni Sartori, si ricava che quando la polarizzazione politica è elevata l’opposizione tende ad essere «irresponsabile»: si contrappone frontalmente al governo su tutto. Senza ombra di realismo. Ciò spiega la drastica e repentina mutazione che subiscono i partiti quando passano dall’opposizione al governo e viceversa. Giorgia Meloni, prima di vincere le elezioni, aveva (tranne che sull’Ucraina) la tipica postura dell’oppositore irresponsabile nel senso di Sartori. Meloni al governo è un’altra cosa. Il Pd ha fatto il tragitto contrario: era una cosa quando faceva parte della maggioranza di governo guidata da Mario Draghi, è un’altra cosa fuori dall’area di governo. Quando sono all’opposizione il partito di destra o il partito di sinistra si fanno guidare, rispettivamente, dal principio pas d’ennemis à droite (niente nemici a destra) e pas d’ennemis à gauche (niente nemici a sinistra). Ciò alimenta la costante delegittimazione reciproca fra governi e partiti di opposizione. Riflette le divisioni che esistono nel Paese. Ma tende anche a perpetuarle e a esasperarle.

Viviamo in una fase storica nella quale la polarizzazione politica è aumentata in tante democrazie (si pensi agli Stati Uniti) ma l’Italia fa storia a sé. La nostra era una democrazia polarizzata (quando molte altre non lo erano) ai tempi della Guerra fredda. Ed è rimasta tale. Con l’aggravante che mentre un tempo l’esistenza di forti partiti riusciva a contenere, almeno in parte, le pressioni divaricanti, oggi che quei forti partiti non ci sono più l’opera di contenimento è assai più faticosa e spesso impossibile.

Le conseguenze sono pesanti. Quando predomina lo spirito di fazione affrontare i problemi del Paese diventa impossibile. Sia perché chi governa — ovviamente costretto ora a fare i conti con la realtà — non può mai liberarsi completamente delle scorie accumulate nella fase dell’opposizione irresponsabile. Sia perché non è pungolato da una opposizione che sappia confrontarsi con i problemi anziché innalzare muri ideologici. I problemi del Paese sono noti: insufficiente crescita economica, declino demografico, mali antichi dell’amministrazione, malfunzionamento dell’amministrazione della giustizia, deterioramento del sistema scolastico, prestazioni di welfare mal distribuite e con ampie sacche di inefficienza, necessità di governare i flussi migratori, obbligo di conciliare le misure per fronteggiare il cambiamento climatico con la salvaguardia della forza industriale del Paese. Grandi e difficilissimi problemi che richiederebbero una convergenza di intenti, chiamare il Paese a riconoscersi in alcune idee-forza. Una cosa è dividersi, come è normale in democrazia, su proposte diverse ma volte a uno stesso scopo. Altro è dare libero sfogo allo spirito di fazione e a uno scontro ideologico che inghiotte tutto e che nasconde anziché rendere visibili i termini del problema che si dovrebbe affrontare.

Prendiamo, ad esempio, il caso della scuola. Basta leggere i risultati dei test Invalsi per capire che stiamo segando il ramo su cui siamo seduti. Stiamo dilapidando, prima ancora di averlo formato, un grande capitale umano. Ma senza capitale umano non si va da nessuna parte. I successi economici «asiatici» (della Cina e non solo), da tanti ammirati, sono, prima di tutto, il prodotto di sistemi educativi di prim’ordine. Qualunque professore con una lunga esperienza sorride quando sente dire che ci sono tanti giovani bravi e preparati. Certo che ci sono, come ci sono sempre stati. Ma il problema di un sistema educativo è, prima di tutto, quello di preparare decentemente la fascia media (i bravi, quelli che hanno vocazione per lo studio, se la cavano comunque). Il cedimento strutturale della scuola ha riguardato la fascia media. È in questa fascia che l’impreparazione dilaga. Con gravi danni, in prospettiva, per l’economia e le professioni. E anche per la democrazia. Interessi corporativi e faziosità ideologica impediscono di ammetterlo. E di cercare i rimedi.

Oppure si prenda il tema dell’immigrazione. In un Paese in crisi di natalità c’è un grande bisogno di immigrati. Ma c’è anche bisogno di assorbirli senza provocare forti «sbreghi» nel tessuto sociale e culturale. Qualcuno può affermare che il tema, da quando si è imposto all’opinione pubblica, sia stato affrontato, da destra e da sinistra, in modo non ideologico? C’è ora qualche segnale di un atteggiamento più pragmatico ma è ancora troppo presto per giudicare. È comunque un altro argomento su cui il riconoscimento di un interesse comune dovrebbe spingere a cercare convergenze anziché contrapposizioni frontali.

Se la polarizzazione politica impedisce di riconoscere la natura delle sfide e di cercare convergenze, dobbiamo allora sperare nell’emergere di forze capaci di affrontare con pragmatismo i problemi che incombono e che riescano a mettere nell’angolo gli ideologizzati delle varie fazioni? Dobbiamo cioè aspettare che si formi, al centro dello schieramento, una opposizione responsabile? Si sente spesso dire che esisterebbero vaste praterie che aspettano solo di ricevere una offerta politica credibile. Qualche tempo addietro lo pensava anche chi scrive. Ma forse era un’illusione. In un sistema polarizzato, chi rifiuta lo spirito di fazione fatica a fare passare messaggi che prendano di petto i problemi. La faziosità occupa la scena. Non solo una offerta politica credibile del tipo indicato, al momento, non si vede. Ma se ci fosse non è detto che avrebbe successo, che riuscirebbe a intercettare tanti elettori.

In teoria la democrazia appartiene al novero dei regimi moderati. In un regime moderato la demagogia è tenuta a freno, relegata ai margini dello spazio pubblico. Per questa ragione, forse, la forte polarizzazione registrata negli ultimi anni in tante democrazie occidentali potrà essere prima o poi riassorbita. Però il nostro Paese non ha mai conosciuto la suddetta moderazione. Fino ad oggi, tuttavia, la democrazia italiana è riuscita a sopravvivere. Forse è l’eccezione che conferma la regola. Forse è solo il frutto di fortunate circostanze. Caso e fortuna hanno comunque giocato a nostro favore. Si spera che continuino a farlo.

Corriere della Sera

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