Giovani e meritocrazia, serve un cambiamento

Giovani e meritocrazia, serve un cambiamento

Le imprese che lavorano nel settore digitale segnalano di avere 270mila posti di lavoro vacanti. Hanno bisogno di collaboratori ma non ne trovano di adeguatamente formati. Toccherebbe all’università, ma se si continuerà a non produrre competenze le imprese provvederanno da sole.

Con due conseguenze negative: a. aumentano i costi a loro carico, diminuendo la produttività; b. l’università è giusto fornisca la cultura che serve alla produzione, ma la ricerca deve essere libera, aperta e non necessariamente puntata a rifornire l’esistente, mentre la formazione aziendale è preziosa, ma con orizzonti meno larghi.

Al tempo stesso apprendiamo che nelle università tedesche cresce significativamente la presenza di docenti, ricercatori e studiosi (compresi studenti) italiani. Nulla di male, anzi: la cultura non ha confini e sconfinare, per i più giovani, è solo che un bene.

Il guaio è che la prima notizia getta una brutta luce sulla seconda: se vado in giro per il mondo a cercare fortuna e far crescere la cultura è un bene; se ci vado perché a casa non possono fare altrettanto è un male. Quando capiremo che studi non selettivi e non meritocratici, a cominciare dalle cattedre, sono un oltraggio ai sogni e ai diritti dei giovani? Che senza promozione dei migliori i peggiori ce li teniamo nei ruoli protetti e i più bravi se ne vanno? Il che genera povertà. Economica e morale. Invece è dall’istruzione che potremmo e dovremmo ripartire, per crescere. Ma con il coraggio di cambiare veramente.

Davide Giacalone, 23 novembre 2018

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