In Austria non ha vinto la destra, ma qualcos’altro

In Austria non ha vinto la destra, ma qualcos’altro

Spiegarsela con il “trionfo della destra” aiuta a colorire le cose, ma non a capirle. Quando tutti vedono una cosa provo a guardare da un’altra parte, giusto per accertare che non stia sfuggendo qualche cosa, nascosta da tanta uniformità. Ed è quel che sta accadendo.

L’Austria, dunque, sarebbe l’ultimo trionfo della destra, ma senza che la sinistra crolli e con il vincitore che siede al desco della famiglia popolare europea, la stessa in cui si trovano Merkel, Rajoy o Berlusconi, quella che ha fra le proprie fila il capo della Commissione europea e il presidente del Parlamento europeo.

Se per “destra” non s’intende la dislocazione nell’emiciclo parlamentare, ma il ruggito sovranista, quella austriaca è una mutazione genetica. O un fraintendimento. Che è la mia impressione.

Un tempo l’Europa era attraversata da una trincea. Non si sparava, ma si era armati affinché nulla mutasse nel tempo della guerra fredda. La trincea è stata travolta. Evviva. Con gran festa ad est, e gran compiacimento a ovest, i confini europei si sono allargati. Quasi dimenticati, se non per faccenduole di bottega.

Ora sono tornati protagonisti. Ed è qui il primo fraintendimento, perché se si pone in cima all’agenda il tema dell’immigrazione (come fatti economici, culturali, religiosi e di sicurezza autorizzano a fare) la fede nel valore dei confini si colora di destra, perché la sinistra s’è attardata nel residuato fossile del terzomondismo internazionalista che fu; ma se si antepone il tema dei salari, dei contratti e del welfare, quella stessa fede risorge a sinistra, nel medesimo intento di tenere fuori da casa quel che può minacciare la magione.

Per questo credo che il “trionfo della destra” non aiuti a capire, ma solo a raccontare.

Per tenere a lungo fuori da casa chi sempre più numeroso vuole entrarci, o per allontanare dal giardino la concorrenza di chi vuol far crescere la propria ricchezza, prima o dopo devi armarti e sparare. Da destra o da sinistra, cambia poco (a proposito: le allucinazioni ideologiche che hanno avvelenato il secolo scorso, in Europa, furono archiviate come di destra, ma nacquero di sinistra). [spacer height=”20px”]

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L’alternativa, saggia, consiste nel governare i problemi. Nel ragionare. E per ragionare occorre togliersi gli occhiali colorati: siamo l’area più ricca del mondo, la più libera e sana; siamo poderosi esportatori e dotati di servizi finanziari che prosperano in un mondo aperto; conosciamo da sempre emigrazione e immigrazione, come farle renderle e come regolarle.

Perché siamo finiti nel panico?

Perché le bubbole propagandistiche che si raccontano all’interno delle mura domestiche sono divenute incompatibili con il mondo esterno, sicché acquistano fascino le forze che promettono la più colossale delle bubbole: tenere il mondo fuori da casa.

Non sarà mai vero, ma attrae chi è nato nella pace e nel benessere, salvo avere dimenticato (o mai saputo) come ci siamo arrivati.

Così come non ci si può chiudere, tirando il ponte levatoio, neanche ha alcun senso abbattere le mura di casa, per aprirsi al mondo.

Queste visioni di chiuso-aperto, male-bene s’adattano al cinema, non al mondo reale. Il guaio delle forze (culturali e politiche) ragionevoli è che si sono trovate disarmate dal proprio successo, dalla propria vittoria.

Il mondo è migliore di quello di ieri, ma quelle forze non hanno più molto da dire, perché prigioniere di scemi ideologici del passato. Fra questi anche quello di liquidare come “trionfo della destra” quel che è un fenomeno assai più profondo e meno leggibile in termini di schieramento.

Davide Giacalone, 16 ottobre 2017

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