«La democrazia non è a rischio, quello che manca al Paese sono politici davvero capaci» intervista a Sabino Cassese su Il Messaggero

«La democrazia non è a rischio, quello che manca al Paese sono politici davvero capaci» intervista a Sabino Cassese su Il Messaggero

L’ex giudice della Consulta: i cittadini devono valutare i programmi, invece di pensare all’allarme destra

Professor Sabino Cassese, le preoccupazioni per la possibilità che Giorgia Meloni vada a Palazzo Chigi le sembrano giustificate?

«Se si è schierati da una parte opposta sì, perché si teme di essere perdenti; se la preoccupazione invece riguarda la tenuta del sistema politico costituzionale introdotto 74 anni fa, le preoccupazioni non sono giustificate. Ritengo che libertà e democrazia, ai diversi livelli del potere politico (cioè Unione europea, Stato, regioni, comuni) siano sufficientemente radicati per non temere che una forza politica, di destra o di sinistra, possano metterli in dubbio. Diversi i timori che possono sorgere da esperienze recenti di altri Paesi, come l’Ungheria. Ma ritengo che un certo grado di verticalizzazione del potere possa essere realizzato senza violare lo Stato di diritto e le libertà, perché l’Italia ha anticorpi sufficienti per mettere in guardia e correggere derive o illiberali, o non democratiche. Se questi non bastassero, ci sono i vincoli esterni di degasperiana memoria, sui quale tanto insistette Guido Carli».

Perché anche i suoi alleati di centrodestra sembrano così ostili a questa ipotesi? Sono solo calcoli politici? Meloni capo del governo sancirebbe la fine di una lunga stagione della politica italiana, in cui il polo conservatore si è identificato in Berlusconi e nella Lega.

«La fluidità e la frammentazione dell’elettorato italiano, che si riflettono nelle forze politiche, nonché le ulteriori suddivisioni tra le forze politiche (non dimentichiamo i guelfi e i ghibellini), fanno sì che alla concorrenza tra le coalizioni si accompagni la concorrenza nelle coalizioni».

C’è anche una motivazione sessista?

«Mi auguro proprio di no: sono 74 anni che vige la Costituzione; essa dispone che tutti i cittadini sono eguali, indipendentemente dal sesso. Il fatto che la leader di Fratelli d’Italia sia donna dovrebbe, al contrario, giocare a suo favore, visto che finora alla Presidenza del Consiglio dei ministri sono andati uomini e che dei circa 5mila membri del governo solo meno del 7 per cento è stato di sesso femminile».

A Fratelli d’Italia viene rimproverata la sua origine di partito di destra radicale e nostalgica.

«Più che storie pregresse credo che sia importante il giudizio degli italiani sui programmi. Mi aspetto che cittadini maturi valutino le forze politiche in base alle risposte che esse danno a domande del tipo seguente: vi preoccupa il calo demografico del nostro Paese e quale rimedi pensate di poter introdurre per evitarlo? Come vorreste porre rimedio alle debolezze del servizio sanitario nazionale, che conoscevamo e che sono state messe in luce dalla pandemia? Quali provvedimenti proponete di adottare per contrastare il declino della scuola, migliorare il tasso di scolarizzazione del nostro Paese, aumentare gli anni della scuola dell’obbligo, evitare gli abbandoni, motivare gli insegnanti? Questi ed altri problemi simili debbono essere il metro di paragone per giudicare le forze politiche, quando si presentano all’elettorato».

L’altra critica che si rivolge a Fratelli d’Italia riguarda la carenza di una classe dirigente adeguata: le sembra un partito in grado di esprimere figure politiche e amministrative di livello, adeguate a guidare il Paese in un momento così difficile?

«Non conosco a sufficienza i quadri dirigenti di Fratelli d’Italia. So che nella nostra tradizione buoni politici sono venuti o dall’esperienza delle amministrazioni locali, oppure dalle professioni, oppure dalla classe insegnante. Se potessi dare un consiglio alle forze politiche, suggerirei di portare in Parlamento anche qualche persona che si è formata nell’alta amministrazione, perché la politica separata dall’amministrazione corre il rischio della irrealtà. Penso che le forze politiche dovrebbero riservare qualche posto tra i candidati a tecnici capaci, per ripetere l’esperienza fatta da altri politici in passato (penso a Craxi che volle Giugni in Parlamento perché sapeva che i problemi del lavoro sarebbero stati centrali in quegli anni). Insomma, una classe dirigente si forma nella società civile, nelle sue strutture. Questo perché le strutture di partito sono divenute, ormai da numerosi anni, esangui. I partiti, che dovrebbero essere lo strumento principale della democrazia del Paese, sono essi stessi non democratici».

Intervista di Pietro Piovani su Il Messaggero

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