Dal ’48 ai «101» di Prodi Anatomia del franco tiratore che si esalta affossando

Dal ’48 ai «101» di Prodi Anatomia del franco tiratore che si esalta affossando

Il trionfo del franco tiratore è quando sente che ci sono tanti franchi tiratori insieme a lui: un cecchino, alla fine muore, ma tanti cecchini determinano le sorti di una battaglia. Senza appalesarsi, galvanizzandosi nel segreto, nella manovra nascosta, nelle trame invisibili.

Che poi, quando vanno a segno, come è accaduto ieri con la legge elettorale, sono il massimo della soddisfazione: l’immensa goduria del franco tiratore.

Giovanni Leone, Andreotti, Scalfaro

La goduria di quell’anonimo poeta che in rima vergò la sua scheda demolitrice contro Amintore Fanfani candidato al Quirinale nel 1971: «Nano maledetto, non sarai mai eletto». E non fu eletto.

Uno dei tanti candidati democristiani alla Presidenza della Repubblica caduti sotto i colpi micidiali dei franchi tiratori che nelle elezioni a scrutinio segreto si esaltano, si insinuano nel gioco delle correnti con una raffinatezza programmatica che soltanto i più esperti giocatori di biliardo sanno decifrare.

Esiste tutta una letteratura sul trionfo del franco tiratore che fa perdere il Quirinale al presunto predestinato. C’è l’elezione del primo presidente della Repubblica che Alcide De Gasperi avrebbe voluto che fosse Carlos Sforza, che però era considerato un massone e un libertino dall’austera sinistra dossettiana e finì straziato dai cecchini: e arrivò Luigi Einaudi.

Poi fu il turno dell’impallinamento via franco tiratore di Giovanni Leone nel ’64, che però si rifece nel ’71 battendo il favorito Fanfani, che ci rimase assai male.

Poi i fasti e le tragedie del 1992 quando bisognava votare il sostituto di Francesco Cossiga in un clima intossicato tra Tangentopoli che stava inabissando il sistema della Prima Repubblica e l’offensiva stragista della mafia. Per Arnaldo Forlani, massacrato dai franchi tiratori, fu un’agonia politica.

Il nome di Giulio Andreotti aleggiava come un falchetto sull’aula dove erano riuniti i grande elettori per il Quirinale ma la strage di Capaci sconvolse tutti i giochi e alla fine il nome prescelto fu quello di Oscar Luigi Scalfaro, malgrado gli sforzi di Giovanni Spadolini.

Craxi e Marini

I franchi tiratori erano l’incubo della Prima Repubblica. O meglio, erano l’incubo di chi ne subiva il cecchinaggio, ma era un grande sfogo per chi nel segreto dell’urna destabilizzava, distruggeva, manovrava, disintegrava sogni e ambizioni. Ma non è che nella Seconda, di Repubblica, i franchi tiratori non abbiano avuto i loro momenti di gloria.

Per esempio, nel 2008 quando bisognava eleggere il presidente del Senato dopo la risicatissima ma proprio risicatissima vittoria del centrosinistra di Prodi, sul nome di Franco Marini (per lui non sarà l’ultima volta nel mirino del franco tiratore) si accese una battaglia molto complicata per cui i seguaci di Clemente Mastella nel segreto dell’urna, sotto il catafalco in cui i senatori dovevano apporre il loro voto, decisero di scrivere sulla scheda «Marini Francesco» che era un modo bizantino per annullare e mandare un segnale a chi di dovere.

Poi i «Marini Francesco» divennero «Marini Franco» e la manovra del franco tiratore ebbe fine e soddisfazione. Poi venne il giorno, nell’aprile del ’93, del respingimento segreto dell’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, e la sera stessa il popolo dei forcaioli si radunò sotto l’albergo Raphael, quartier generale socialista, per colpire con le monetine chi era stato salvato dal Parlamento.

Proprio quel Craxi che aveva combattuto epiche battaglie per riformare i regolamenti parlamentari e ridurre le occasioni del voto segreto, anticamera di accordi consociativi inconfessabili con il Pci.

Da allora, da quello scrutinio pro-Craxi, e senza quelle fastidiose lucette verdi e rosse che dicono troppo su chi vota per cosa, i voti per le autorizzazioni all’arresto di parlamentari sono rimasti le occasioni più ghiotte per gli accordi e le manovre invisibili.

Ma poco prima, nel primo atto ufficiale del neonato Pds nato sulle ceneri del Pci, alla fine del gennaio 1991 a Rimini il voto segreto dei franchi tiratori colpì con durezza Achille Occhetto che non fu eletto subito segretario del partito.

Per poi arrivare, nel 2013, alla grande sagra del franco tiratore che riunito in un esercito di 101 cecchini del Pd, sbarrò la strada del Quirinale a Romano Prodi, dopo aver anche seppellito nei giorni precedenti le ambizioni presidenziali di Franco (con Francesco) Marini.

Il franco tiratore si acquatta, scompare ma mai del tutto. Nel segreto dell’urna, del resto, nessuno può vedere. Solo il capocorrente sì. [spacer height=”20px”]

Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 9 giugno 2017

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