C’entro

C’entro

Cantiere

Il cantiere centrista è attivo, ricorrente e inconcludente. Non può che avere queste caratteristiche, perché i carpentieri hanno in mente realizzazioni diverse, sono incapaci di cooperare e va già alla grande se non s’industriano gli uni a demolire quel che approntano gli altri.

L’errore ricorrente consiste nel credere che quel cantiere abbia lo scopo di “rappresentare” questa o quella cultura politica del passato, dimenticando che quel che ha bisogno d’essere testimoniato da rappresentanza è segno che è già morto. Difficile costruire un futuro con i morti.

Ciascuno accende lumini ai propri cari – che siano liberali, liberaldemocratici, socio-liberali, liberal-socialisti, popolari e così via – percorrendo i viali contornati d’alberi pizzuti. Ciascuno si duole non si riconosca la vitalità dei trapassati, non accorgendosi che nella rivendicazione stessa è contenuta una nota sepolcrale, senza neanche aspirazioni foscoliane.

Coltivare la memoria è cosa buona e giusta, possibilmente studiando il passato anziché inventarlo. Ma se si vuole costruire una forza politica occorre parlare la lingua del presente e sapere indicare una prospettiva futura. Che abbia radici nel passato è molto bello, ma se non sboccia nel presente tradisce le radici stesse.

Servono almeno quattro paletti, indicazioni di crescita, sicurezze politiche. Altrimenti si parla del nulla.

  1. Il primo scopo, immediato, è impedire che si trascini oltre la commedia avviata nel 1994, già divenuta tragedia nel 2018. Sulla scena pretendono di sfidarsi due falsi: il presunto centrodestra e il presunto centrosinistra. La ragione d’essere di ciascuno è l’esistenza dell’altro, da battere. Ma non esistono né l’uno né l’altro. Questa falsa rappresentazione, questo inganno propagandistico ha ridotto non i “centristi” ma i pragmatici, i ragionevoli, i riformisti a restare ostaggio degli estremisti e dei populisti presenti in ciascuna delle due false coalizioni. Alle scorse politiche sono stati entrambi spazzati via dalla sbornia populista, che ha aperto la porta alla più oscena orgia trasformista mai vista. Una cosa alternativa, quindi, ha senso immediato se serve a fermare – impedendole di avere la maggioranza – questa oscenità.
  2. Bisogna essere ci e chi per non avvedersi del fatto che gli equilibri internazionali hanno ricreato un discrimine. Nella stagione della globalizzazione, che ha enormemente aumentato la ricchezza e diminuitole disparità nel mondo, poteva anche capitare che il nemico di ieri influisse nelle faccende interne. È capitato con Brexit e con i sovranisti filorussi. Ma da quando il nemico di ieri ha deciso di tornare il nemico di oggi no, non può capitare. La collocazione atlantica riprende il suo ruolo di discrimine. Una forza che non voglia essere sommatoria di incompatibilità, come lo sono le due false coalizioni, è atlantica. O non è.
  3. Questo non è un ritorno alla Guerra fredda di ieri, perché c’è una condizione nuova e decisiva: l’Europa che ieri era divisa oggi è unita. Anche nell’alleanza difensiva, la Nato, ieri era impossibile una forza armata europea: oggi è possibile. Ragione per cui la scelta europeista non è una scampagnata negli ideali (nobili) di Ventotene ma un indirizzo politico.
  4. Quel che rende ricco un Paese è la libera intrapresa, la collaborazione di capitale e lavoro, con l’investimento pubblico indirizzato a correggere gli squilibri che ostacolano l’economia di mercato. L’uso della spesa pubblica per difendere le arretratezze e le rendite genera arretramento e debito. Il discrimine non è ideologico, fra privato e pubblico, ma d’indirizzo politico, fra investimenti e spesa corrente assistenzialista.

Per raccogliere consensi, senza partecipare alla fiera demagogica, occorre non solo essere chiari ma anche credibili. Il che richiede una buona dose di coerenza. Nessuno può essere buono per tutte le stagioni, tutti i partiti e tutte le coalizioni. Altrimenti siamo al centro con l’apostrofo: c’entro. Con il risultato che tutto il resto esce.

 La Ragione

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