Campagna referendaria, la lunga lista delle gaffe

Campagna referendaria, la lunga lista delle gaffe

La peggiore campagna elettorale mai conosciuta in Italia in epoca repubblicana? Certamente la più lunga, estenuante, sfibrante. Inevitabilmente ripetitiva, bisognosa di additivi emozionali per sfidare la monotonia dell’eterno ritorno del sempre uguale. Una campagna referendaria costellata di invettive, gaffes, urla, rotture. Tanti mesi fa Maria Elena Boschi ammoniva quelli del No che se avessero insistito si sarebbero comportati come CasaPound.

L’Anpi per rappresaglia scomunicò una riforma costituzionale descritta come l’anticamera di una feroce dittatura fascista. Qualche mese dopo gli argini del buon senso sarebbero stati travolti. Il presidente dell’Anpi di Latina ha detto che Renzi è «peggio» del Duce. Il Procuratore generale di Bologna ha equiparato i sostenitori del Sì ai repubblichini di Salò. Quando ancora la buriana doveva cominciare, Confindustria si è portata avanti e ha incaricato il suo ufficio studi di dimostrare che con il No l’Italia avrebbe conosciuto l’aumento di 430 mila unità dei suoi poveri, nientemeno.

Riecco i «poteri forti»

Una campagna elettorale a zig zag. Quando il Financial Times ha tifato per il Sì, quelli del No hanno detto che i «poteri forti» stavano con il nemico. Quando l’Economistha parteggiato per il No, quelli del Sì hanno detto che i «poteri forti» stavano con il nemico. Poi c’è stata la bella e il Financial Times ha ipotizzato che la vittoria del No avrebbe procurato il fallimento di otto banche. E l’allarmismo ha raggiunto l’apice. I «poteri forti»? Un po’ frastornati. Del resto lo zig zag è stato anche il sentiero imboccato da Matteo Renzi che prima ha giocato la carta anti-Europa, con tanto di bandiera europea nascosta nell’armadio, con l’immagine di Bruxelles cattiva che bloccava i soldi per il terremoto, poi ha incassato l’endorsement di Wolfgang Schäuble, il cattivo per eccellenza, l’euroinflessibile spietato sui conti pubblici italiani. Mistero.

Pinochet e «scrofa ferita»

Nessun mistero e nessuno zig zag per Beppe Grillo, che quando parte la gara dell’insulto più greve, si sente in dovere di vincere, anzi di stravincere. E quindi ecco quelli del Sì additati come «serial killer», ecco l’insulto becero rivolto a Renzi paragonato a una «scrofa ferita». Oppure la battuta quasi surreale con cui Grillo minaccia Renzi di denunciarlo per «abuso di credulità», o anche il paragone un po’, anzi decisamente bislacco con la dittatura di Pinochet (quella cilena, non quella «venezuelana» di Luigi Di Maio) che il premier starebbe preparando per andare «oltre» il tiranno del Cile.

Variopinti gli aggettivi con cui i pasdaran del Sì hanno chiosato e accompagnato «l’accozzaglia» che secondo il premier spingerebbe per un nuovo governo sostenuto dalle forze del No (ma è un referendum non un turno di elezioni politiche). Mentre invece si è via via ingrossato, ultimo Romano Prodi, il fronte capeggiato da Massimo Cacciari del Sì a una riforma considerata molto negativamente («una puttanata» secondo il lessico cacciariano). E non si sa se questo fronte comprende anche i kenioti per il Sì, raggruppati da un imprenditore di Malindi coadiuvato da un gruppo di Masai.

Complotti per tutti

Poi c’è, da parte dei vertici del Comitato del No, la denuncia preventiva di brogli non ancora tecnicamente effettuati da parte del Sì sui voti degli italiani all’estero: pronto il ricorso, ma solo se ad essere determinanti saranno quelli che all’estero dovessero confortare il presidente del Consiglio (e se invece accadesse il contrario, il ricorso sparirebbe?). È divampata anche, forse per la prima volta in queste proporzioni, la guerra del web, tutto un dannarsi attorno a falsi in Rete, manovre via social network, complotti per la propalazione di bufale.

Menzogne (ora ribattezzate «post verità») sulla presunta scelta di Agnese Renzi di votare No contro il marito premier: una scemenza dalla vita breve. Poi la bufala del ritrovamento di centinaia di migliaia di schede già contrassegnate con il Sì: falso assoluto. In compenso ha fatto molto scalpore, addirittura con seguito di denuncia avviata da Luca Lotti nei pressi di Palazzo Chigi, lo smascheramento di un falso account su Twitter, indicato come strumento diabolico al servizio del Movimento 5 Stelle, in realtà gestito dalla consorte buontempona di Renato Brunetta. Ma è la paura che fa fare simili errori.

La paura di molti del No della «deriva autoritaria», la paura di molti del Sì alla deriva grillina cui si darebbe una spinta in caso di vittoria dei contrari. E allora persino Massimo D’Alema, laico impenitente, sostiene, scherzando ma non troppo, che «la Madonna è per il No». I fanti non si sa cosa votino. E i santi?

Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 4 dicembre 2016

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