Brexit, l’Europa è una via senza uscita

Brexit, l’Europa è una via senza uscita

La verità è che liberarsi dell’Europa, dei propri presunti cavilli, della tecnocrazia di Bruxelles ma anche delle opportunità derivanti dal mercato libero e dal dalla libera circolazione dei cittadini è operazione tutt’altro che agevole. A quattro mesi di distanza da un deal che, mai come in queste ore, appare incerto e lontano, uno dei governi storicamente più scettici e critici verso l’assetto unitario dell’Unione europea, nato per attuare velocemente un verdetto popolare che ancora grida vendetta, appare in seria difficoltà e, obiettivamente, senza alcuna via di uscita.

Il rinvio repentino di un voto che avrebbe decretato, per varie ragioni, il collasso certo del gabinetto May costituisce l’ennesima dimostrazione di quanto l’uscita dall’Europa rappresenti un azzardo senza ritorno, con conseguenze incontrollabili per chi avrebbe dovuto, in base ad un mandato elettorale, traghettare tranquillamente (si fa per dire) il proprio Paese al di fuori di una “gabbia” il cui codice d’uscita è tutt’altro che di agevole azionamento. Ma il voto popolare, qui, non basta più.

Dell’Europa, insomma, non è semplice sbarazzarsi e, gli stessi britannici che poco più di due anni fa decisero a sorpresa di premiare i sostenitori del leave per ripercorrere chissà quali fasti del solitario passato imperiale, appaiono oggi pentiti di una scelta clamorosa che, al netto dei conti, appare devastante non solo per l’economia ma soprattutto per l’articolato tessuto sociale della prima grande nazione globalizzata del mondo moderno.

La sentenza della Ejc, la corte di giustizia di Lussemburgo, che sancisce, proprio oggi, la possibilità di un ritiro unilaterale da parte del governo di Sua Maestà della procedura di uscita dalla Ue non aiuta la premier che, a sorpresa, ha deciso deliberatamente di sottrarsi ad un massacro parlamentare senza ritorno. Che fare?

La via per un secondo referendum, per quanto ancora quotata in basso, potrebbe invece rappresentare l’unica via di uscita per una nazione ormai senza una guida certa e senza garanzie per il proprio futuro. Lo spettacolo indecente di questi giorni, durante i quali sono saltate tutte le convenzioni parlamentari che da secoli scandiscono la vita della più antica democrazia parlamentare occidentale, indicano che non basta la volontà popolare, o la forza del (presunto) consenso, né gli accordi bilaterali, a far sì che un intero popolo venga accompagnato, pur in presenza di precisi accordi nero su bianco e di un vincolo referendario, nell’uscita da un percorso che ha concesso all’Europa – nonostante le evidenti patologie – la più lunga fase di pace e progresso  degli ultimi secoli.

Ciò che appare più disarmante è che un governo, ormai in palese minoranza e che in altri momenti storici già sarebbe stato rimpiazzato già da un pezzo da un altro gabinetto, navighi a vista sotto l’occhio di una opposizione incapace di proporsi come alternativa seria. Nè i tories né i laburisti sanno infatti che strada intraprendere di fronte ad un accordo che scontenta tutti ma che, nei fatti, non ha alternative, se non un vergognoso dietrofont che inonderebbe d’inchiostro i futuri manuali di storia. L’Irlanda del Nord, e il fragile, ma per ora unico serio compromesso che garantisce la stabilità – almeno provvisoria – di una delle più infuocate frontiere etniche e religiose del mondo moderno è infatti un punto di non ritorno di fronte al quale l’intero assetto democratico va in crisi, palesando la propria inadeguatezza.

Il segnale per chi oggi paventa una alternativa fuori dall’Unione è abbastanza chiaro. Lo spettacolo disarmante che, proprio in questi minuti Westminster, il tempio della democrazia parlamentare, sta offrendo agli osservatori internazionali sia da monito: sappiano i sovranisti che l’Europa, piaccia o no, rappresenta una strada senza ritorno.

Simone Santucci, labparlamento.it 10 dicembre 2018

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