E lui non paga. Lo Stato e i (lunghi) tempi di pagamento

E lui non paga. Lo Stato e i (lunghi) tempi di pagamento

L’Italia e i (lunghi) tempi di pagamento della PA: le conseguenze, la proposta e il confronto con gli altri Paesi europei (a cura di Davide Giacalone e Marco Di Eugenio)

Italia, la procedura d’infrazione dell’Ue

La procedura d’infrazione e il deferimento alla Corte di giustizia sono meritati, perché lo Stato italiano continua a non pagare i propri fornitori nei tempi stabiliti.

Quando chi mi deve pagare non lo fa, o non lo fa nei termini stabiliti, io cittadino mi rivolgo allo Stato, ovvero alla giustizia, chiedendo che l’obbligazione contratta sia rispettata. Purtroppo la giustizia non funziona e anche quella è una strada lunga e tortuosa. Diventa infernale quando a non pagare è lo Stato. [spacer height=”20px”]

Lo Stato non paga? 4 conseguenze[spacer height=”20px”]

Lo Stato che non paga crea molti danni:

a. costituisce un pessimo esempio, talché chiunque si trovi in posizione di forza tende a replicarne il malcostume;

b. indebolisce e talora porta al fallimento privati che hanno lavorato rispettando le regole;

c. conoscendo questa pessima attitudine i fornitori tendono a contabilizzarla fra i costi (non avere i soldi nel tempo dovuto crea un costo finanziario), aumentando i prezzi praticati a quel cliente, con il risultato che la spesa pubblica cresce a parità di acquisti;

d. un lavoro pagato male tende a essere eseguito male.

Ci fu chi si impegnò a sanare questa piaga, smaltendo l’arretrato entro il 21 settembre 2014. Altrimenti, affermò sicuro Matteo Renzi, allora alla guida del governo, andrò in pellegrinaggio a Monte Senario. A piedi. Non ci andò neanche in bus, ma la promessa fu archiviata assieme ad altre, non propriamente onorate. Se egli aveva ecceduto in spacconeria era, però, in buona e folta compagnia, in quanto a fallimento.[spacer height=”20px”]

La proposta

Da tempo proponiamo una soluzione meno stentorea e (forse) più efficace: sia la Cassa depositi e prestiti non a pagare per conto dello Stato (sarebbe impossibile), ma a garantire quei crediti presso le banche, talché i creditori possano scontarli. Ci troveremmo, subito, una quarantina di miliardi di liquidità a scorrere verso il sistema produttivo. Il rischio della garanzia è praticamente zero, visto che il debitore è lo Stato. Il costo dell’operazione verrebbe caricato (non è giusto, ma meglio di niente) sulle spalle dei privati.

Niente da fare. Hanno preferito usare la Cdp come fosse una Gepi e per finanziare false privatizzazioni, nelle quali lo Stato vende a sé stesso e straparla di mercato. Merita di finire davanti al giudice europeo.[spacer height=”20px”]

L’altra faccia della medaglia

Detto questo, c’è l’altra faccia della medaglia. In particolare:

1. Lo stock del debito è, nel tempo diminuito, da poco meno di 60 a poco meno di 40 miliardi. Troppo poco, troppo lentamente, eppur si muove;

2. Le amministrazioni centrali pagano in tempi accettabili, finalmente, il che spiega la diminuzione dello stock, mentre quelle locali e autonome sono largamente fuori dalla norma. La seconda cosa rimanda alla riorganizzazione della funzione pubblica e al necessario aggiornamento della macchina pubblica. Ma sono considerati temi da convegno, mentre per la propaganda si preferisce far sapere che sono state fatte nuove assunzioni, aumentando costi e clientele. [spacer height=”20px”]

Il confronto con gli altri Paesi europei

 

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