Paolo Costa

La riforma del welfare state dal punto di vista della prevalenza dell’interesse collettivo

Il welfare state rappresenta, storicamente, la modalità con cui le democrazie liberali hanno risposto nel ventesimo secolo alla condizione di disuguaglianza fra gli individui e cercato di organizzare la convivenza. La crisi del welfare tradizionalmente inteso non implica che sia venuta meno l’opportunità di pensare a forme e strumenti per rendere effettivo l’accesso alle libertà per tutti i cittadini. Come liberali, consideriamo insopportabile l’idea di “privilegio” e vediamo nel consolidarsi di vecchie nuove disuguaglianze una minaccia per la libertà stessa. Il nostro liberalismo è inclusivo e cosmopolita, in quanto rifiuta il diritto come “vantaggio di pochi”.

Per questo all’ordine del giorno del nostro programma resta la ricerca di forme di stato sociale che vivifichino i processi diffusivi della cittadinanza e contrastino la minaccia dell’”esclusione”. Il liberalismo è chiamato a combattere povertà, disoccupazione ed emarginazione, che costituiscono i pericoli maggiori per la società civile, in qualunque parte del mondo essi si manifestino.

Il liberalismo del ventunesimo secolo ha altresì il compito di favorire un’espansione del mercato che sia compatibile con la disponibilità di risorse e la “capacità di carico” del pianeta. Si tratta di prendere atto degli ostacoli fisici che impediscono una crescita quantitativa illimitata, per maturare una nuova etica basata – appunto – sui concetti di limite e di sviluppo qualitativo. La sfida è complessa, perché comporta l’adesione a un modello di società sobria, in lotta contro gli sprechi, ma anche virtuosamente in ozio.

Vogliamo insomma impegnarci affinché il benessere di oggi – senza il quale la libertà resta mera dichiarazione verbale – venga garantito al maggior numero possibile di individui nel mondo e anche alle generazioni future.

L’interesse collettivo tradizionalmente perseguito dalle politiche del welfare è rimasto fin qui circoscritto entro i confini dello stato nazionale. Oggi un simile percorso non è più proponibile, poiché i processi di globalizzazione hanno fatto saltare i confini nazionali stessi. Abbiamo di fronte a noi una grande sfida e, al tempo stesso, una grande opportunità: sviluppare ulteriormente i processi di allargamento e diffusione della cittadinanza, estendendo a livello mondiale l’esperimento avviato dal welfare su scala nazionale.

Crediamo che la stagione del nuovo welfare dovrà essere caratterizzata da una serie di indirizzi tutti orientati – in chiave liberale – alla maggiore responsabilizzazione degli individui e delle comunità di base. Ovvero:

· un drastico dimagrimento degli apparati statali, che si rivelano sempre meno efficaci ed efficienti nel loro ruolo di “redistributori”;
· la tendenziale sostituzione delle forme di assistenza pubblica con un reddito di cittadinanza universale e non revocabile;
· una politica di sviluppo dell’economia sociale e del non-profit, in grado di assicurare con maggiore successo molti dei servizi fin qui erogati dallo stato e soprattutto di rispondere ai nuovi bisogni dai cittadini;
· una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro;
· il favore verso percorsi di vita in cui sia possibile amministrare sempre più liberamente l’alternanza fra tempo di lavoro e tempo dell’ozio;
· una forte autonomia degli interventi locali (in senso territoriale e funzionale), in sostituzione di quelli nazionali.

Accanto a ciò, auspichiamo la nascita di efficaci momenti di governo sovranazionali che consentano di:

· promuovere uno sviluppo economico sostenibile, che tenga conto delle compatibilità ambientali e della limitatezza delle risorse disponibili a livello mondiale;
· favorire una più equa ripartizione delle risorse fra nord e sud del mondo;
· combattere le forme di sfruttamento indiscriminato della forza lavoro (specie femminile e infantile) e di vera e propria schiavitù diffuse in moltissimi paesi.

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